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SCHEDA ARTICOLO N. «00617»

CLASSIFICAZIONE: 4
TIPOLOGIA: CONGENERE
AUTORE: JIDDU KRISHNAMURTI
TITOLO: LA SEMPLICITA'
SPAZIATORE bianco

TESTO ARTICOLO

Tratto da:

Jiddu Krishnamurti



Traduzione di Vincenzo Vergiani



- LA SEMPLICITÀ -

Vorrei prendere in esame che cos'è la semplicità e, partendo da lì, arrivare
magari alla scoperta della sensibilità. Noi sembriamo credere che la
semplicità sia un'espressione puramente esteriore, una rinuncia: possedere
pochi beni, indossare un perizoma, non avere casa, non fare sfoggio di
abiti, avere un piccolo conto in banca. Certamente, questa non è la
semplicità, ma
soltanto una messinscena esteriore. A me pare che la semplicità sia qualcosa
di essenziale, che però si realizza soltanto quando cominciamo a comprendere
il significato dell'autoconoscenza.

La semplicità non è il mero adeguamento a uno schema. E' necessaria una
notevole intelligenza per essere semplici, e non soltanto conformarsi a un
determinato modello, per quanto possa sembrare degno. Purtroppo la maggior
parte di noi inizia con l'essere semplice esternamente, nelle cose visibili.

E' relativamente facile possedere poche cose ed esserne soddisfatti;
accontentarsi di poco e, magari, dividere quel poco con altri. Ma, una
semplice manifestazione esteriore di semplicità nelle cose, in ciò che si
possiede,
non implica certo la semplicità dell'essere interiore. Per come va il mondo
oggigiorno, infatti, siamo indotti dall'esterno ad appropriarci di un numero
sempre crescente di cose. La vita diventa sempre più complessa. Allo scopo
di sfuggire a tutto ciò, cerchiamo di rinunciare alle cose, di
distaccarcene -
dalle automobili, dalle case, dalle organizzazioni, dai film, e dalle
innumerevoli circostanze che dall'esterno ci vengono imposte. Pensiamo che
basti ritirarsi dal mondo per essere semplici. Molti grandi santi, molti
grandi maestri hanno rinunciato al mondo; ma, mi sembra che una simile
rinuncia da parte nostra non risolva il problema. La semplicità, che è
essenziale e
reale, può nascere solo interiormente; e, a partire da lì, può poi dare
luogo a una manifestazione esterna. Il problema è, dunque, come essere
semplici,
perché la semplicità acuisce la sensibilità. E' fondamentale avere una mente
sensibile, un cuore sensibile, che siano capaci di una percezione e
ricezione
rapida.

E certo si può essere semplici interiormente solo se si comprendono gli
innumerevoli impedimenti, legami, paure, che ci imprigionano. Ma alla
maggior parte di noi piace essere prigionieri - delle persone, degli
oggetti, delle
idee. Dentro di noi siamo prigionieri, anche se esteriormente sembriamo
molto semplici. Internamente siamo prigionieri dei nostri desideri, bisogni,
ideali, di innumerevoli motivazioni. E' impossibile trovare la semplicità se
non si
è liberi dentro. E' per questo che bisogna cominciare la ricerca
internamente,
non esternamente.

La comprensione totale del processo della credenza, dei motivi che spingono
la mente ad aggrapparsi a una credenza, è straordinariamente liberatoria.
Quando c'è libertà dalle credenze, c'è semplicità. Ma, questa semplicità
richiede
intelligenza, e per essere intelligenti bisogna essere consapevoli dei
propri impedimenti. Per essere consapevoli, bisogna essere costantemente
vigili,
non radicarsi in una particolare routine, in un particolare schema di
pensiero o
di azione. Dopo tutto, ciò che si è internamente influenza il mondo esterno.

La società (o qualunque forma di azione) è la proiezione di noi stessi, e
senza trasformazione interiore, le sole leggi incidono assai poco sul mondo
esterno; possono produrre certe riforme, certi adeguamenti, ma ciò che si è
internamente finisce sempre per prevalere sull'esterno. Se internamente si è
avidi e ambiziosi, se si perseguono certi ideali, alla fine la complessità
interiore turberà e sconvolgerà la società esterna, per quanto questa possa
essere attentamente pianificata.

Ecco, perché bisogna cominciare dall'interno - ma non in maniera esclusiva,
non rifiutando il mondo esterno. Si arriva all'interno comprendendo
l'esterno,
scoprendo la sofferenza, la lotta, il dolore che esistono nel mondo; e più
si indaga, più, naturalmente, ci si avvicina agli stati psicologici che
producono i conflitti e le sofferenze esteriori. L'espressione esterna è
soltanto
un'indicazione del nostro stato interiore, ma per comprendere tale stato
interiore bisogna accostarsi ad esso attraverso il mondo esterno. La maggior
parte di noi fa così. Nel comprendere l'interiorità - non esclusivamente,
non rifiutando la realtà esterna, ma comprendendola e attraverso essa
giungendo
all'interiorità - scopriremo che, mentre procediamo nell'esplorazione delle
complessità del nostro essere, diventiamo sempre più sensibili e liberi. E'
questa semplicità interiore che è così essenziale, poiché genera
sensibilità.

Una mente che non sia sensibile, né vigile o consapevole, è priva di
recettività e incapace di qualunque azione creativa. Il conformismo, come
mezzo per conquistare la semplicità, di fatto ottunde la mente e il cuore,
li rende insensibili. Qualunque forma di coazione autoritaria, imposta dallo
Stato, da se stessi, dall'ideale del conseguimento di un fine, e così via,
qualunque forma di conformismo, sfociano inevitabilmente nell'insensibilità,
nella mancanza di semplicità interiore. All'esterno ci si può conformare,
dando un'impressione di semplicità, come fanno tante persone religiose, che
praticano varie forme di disciplina, partecipano a questa o quella
organizzazione, meditano in un certo modo, e così via - tutti costoro danno
un'impressione esterna di semplicità, ma un tale conformismo non ha come
esito la semplicità. Qualunque tipo di coazione non potrà mai condurre alla
semplicità. Al contrario, quanto più ci si reprime, quanto più si
sostituisce e si sublima, tanto meno si è semplici; e viceversa, quanto più
si comprende
il processo di sublimazione, repressione, sostituzione, tanto maggiori sono
le possibilità di essere semplici.

I nostri problemi - sociali, ambientali, politici, religiosi - sono
talmente complessi che li possiamo risolvere soltanto essendo semplici, non
diventando straordinariamente eruditi e intellettualmente sofisticati. Una
persona
semplice vede le cose in maniera molto più diretta, ha un'esperienza più
immediata delle persone complesse. Le nostre menti sono talmente ingombre
della conoscenza di un'infinità di dati, di ciò che altri hanno detto, che
siamo divenuti incapaci di essere semplici e di avere noi stessi esperienze
dirette. Questi problemi richiedono una nuova impostazione; ma questa è
possibile solo se internamente siamo davvero semplici. Quella semplicità
scaturisce dall'autoconoscenza, ossia dalla comprensione di noi stessi,
delle modalità del nostro pensare e sentire, dei movimenti dei nostri
pensieri,
delle nostre reazioni, di come ci conformiamo per paura all'opinione
pubblica, a ciò che altri dicono, a ciò che il Buddha, Cristo, i grandi
santi hanno
detto - tutto questo indica la nostra propensione naturale ad adeguarci, a
cercare la sicurezza. Quando si cerca la sicurezza, si è evidentemente in
uno stato di paura e, di conseguenza, non c'è semplicità.

Se non si è semplici, non si può essere sensibili - agli alberi, agli
uccelli, alle montagne, al vento, a tutte le cose che accadono intorno a noi
nel
mondo; se non si è semplici, non si può essere sensibili alle risonanze
interne
delle cose. La maggior parte di noi vive superficialmente, al livello più
esteriore della coscienza; cerchiamo di essere riflessivi o intelligenti, il
che è
sinonimo dell'essere religiosi, oppure cerchiamo di rendere semplici le
nostre menti, attraverso la coazione, la disciplina. Ma la semplicità non è
questa.

Quando costringiamo il livello più superficiale della mente a essere
semplice, tale coazione serve solo a irrigidire la mente, non la rende certo
duttile,
chiara, rapida. E' estremamente arduo essere semplici nel processo
complessivo, globale, della nostra coscienza; non deve esserci, infatti,
alcuna riserva interiore, bensì una determinazione a scoprire, a esplorare
il processo dell'essere, il che significa essere pronti a recepire ogni
implicazione, ogni cenno, essere consapevoli delle proprie paure e delle
proprie speranze, esplorarle, ed esserne liberi, sempre più liberi. Solo
allora, quando la mente e il cuore sono davvero semplici, non ricoperti di
incrostazioni, possiamo risolvere i numerosi problemi che ci troviamo di
fronte.

La conoscenza non risolverà i nostri problemi. Potreste sapere, ad esempio,
che esiste la reincarnazione, che c'è continuità dopo la morte. Potreste
saperlo, non dico che sia così; o potreste esserne convinti. Ma questo non
risolve il problema. La morte non può essere archiviata in base a una
teoria, a un'informazione o a una convinzione. E' molto più misteriosa,
molto più
profonda, molto più creativa di così.

Bisogna avere la capacità di indagare su tutte queste cose con atteggiamento
nuovo; solo attraverso l'esperienza diretta, infatti, i nostri problemi
possono avere soluzione, e perché un'esperienza diretta sia possibile, ci
deve essere semplicità, il che significa che ci deve essere sensibilità. La
mente
è offuscata dal peso della conoscenza, è offuscata dal passato, dal futuro.
Solo una mente che sia capace di adeguarsi al presente in continuazione,
attimo
per attimo, può essere all'altezza delle potenti influenze e pressioni a cui
siamo costantemente sottoposti dall'ambiente che ci circonda.

Dunque, un uomo religioso non è quello che indossa una tonaca, o un
perizoma, o che consuma un solo pasto al giorno, o che ha fatto innumerevoli
voti di
essere questo e non essere quello, bensì quello che è semplice
interiormente, che non tende a diventare alcunché. Una mente simile è capace
di una
recettività straordinaria, perché in essa non ci sono barriere, né paure, né
movimento verso qualcosa; è dunque capace di ricevere la grazia, Dio, la
verità, o quel che vi pare. Un mente che persegue la realtà, invece, non è
una mente semplice. Una mente che cerca, si affanna, brancola in preda
all'agitazione, non è una mente semplice.

Una mente che si conforma a un qualunque modello di
autorità, interna o esterna, non può essere sensibile. E soltanto quando una
mente è veramente sensibile, vigile, consapevole di tutte le proprie
vicende, reazioni, pensieri, quando non tende più a diventare qualcosa,
quando non
plasma più se stessa per essere qualcosa, solo allora è capace di accogliere
ciò che è la verità. Solo allora può esserci felicità, poiché la felicità
non è un fine: è il risultato della realtà. Quando la mente e il cuore
saranno
divenuti semplici e dunque sensibili (ma non attraverso forme di coazione,
di autorità o di imposizione), allora vedremo che i nostri problemi possono
essere affrontati con molta semplicità. Per quanto complessi tali problemi
siano, saremo in grado di impostarli in maniera nuova e vederli in un'ottica
differente. Ecco di cosa c'è bisogno oggi: di gente che sia capace di
affrontare la confusione, l'agitazione, la conflittualità della realtà
esterna in maniera nuova, creativa e semplice - non con teorie né con
formule, di
sinistra o di destra che siano. Ma non si può affrontare tutto ciò in
maniera nuova se non si è semplici.

I problemi possono essere risolti soltanto se li si imposta in questo modo.
Una nuova impostazione non è possibile se ragioniamo nei termini di precisi
schemi di pensiero, religioso, politico o di altra natura. Dobbiamo
liberarci di tutte queste cose per essere semplici. Ecco perché è così
importante
essere consapevoli, avere la capacità di comprendere il processo del proprio
pensiero, avere una percezione totale di sé; da ciò scaturisce una
semplicità, un'umiltà che non è virtù o esercizio. L'umiltà che si conquista
attraverso
uno sforzo cessa di essere umiltà. Una mente che si fa umile non è più una
mente umile.

Solo quando si è umili, ma non di un'umiltà coltivata, solo
allora si è in grado di affrontare i tanti problemi pressanti del
la vita, perché non ci si ritiene importanti, non si guarda alle
cose attraverso il filtro delle proprie urgenze e del proprio senso di
importanza; si considera invece il problema in sé e così si è in grado di
risolverlo.

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