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SCHEDA ARTICOLO N. «00687»

CLASSIFICAZIONE: 4
TIPOLOGIA: CONGENERE
AUTORE: VAJRA KARUNA
TITOLO: UN'ESPERIENZA PERSONALE DI RISVEGLIO SPIRITUALE
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TESTO ARTICOLO

Un'esperienza personale di risveglio spirituale

(di Vajra Karuna)

Come per molte altre persone, la mia ricerca spirituale cominciò con
l'educazione
ricevuta durante l'infanzia. Sono cresciuto in una famiglia alcolizzata e
violenta, e durante i primi anni della mia vita patii alcuni gravi problemi
di salute. Inoltre, a causa dell'irresponsabile condotta economica della mia
famiglia, non era mai certo se avremmo mangiato, o dove avremmo dormito.
Tutto ciò significò che frequentai la scuola con molta irregolarità, e
quindi non ebbi amici coetanei.

Comunemente, si ritiene che lo zen sia un sistema spirituale il cui
obiettivo ideale è portare i seguaci a uno stato di illuminazione. Ma se
questo ideale è davvero ciò che sta alla base dello zen, la maggior parte
delle persone non avrebbe interesse per esso. La realtà è che moltissimi
praticanti zen probabilmente non raggiungeranno mai questo nobile ideale;
nemmeno coloro, tra noi, che vi hanno dedicato gran parte della propria
vita. Ciò, tuttavia, non invalida lo Zen, in quanto il suo obiettivo ideale
è largamente superato da un altro più pratico: offrire alle persone una
comprensione più profonda della propria unità con se stesse, gli altri e il
mondo, e soprattutto renderle in grado di affrontare creativamente, e forse
persino di apprezzare, le vicissitudini della vita. Ora vorrei portare
all'attenzione
la mia esperienza personale a proposito di quest'ultimo, molto pratico
obiettivo.

Lo zen, come tutte le tradizioni spirituali, cerca di rendere spiritualmente
sani i suoi praticanti. Per i piccoli dolori e sofferenze della vita, andrà
bene una medicina facile da mandare giù e dal sapore non troppo sgradevole:
per questo, sono appropriate le semplici pratiche di meditazione zen. Ma per
coloro che hanno sofferenze spirituali più profonde, è necessario qualcosa
di più forte. Nello zen, questa medicina più potente si chiama risveglio, o
kensho. Il significato di quest'ultimo verrà chiarito, si spera, nelle
pagine seguenti.

Come per molte altre persone, la mia ricerca spirituale cominciò con
l'educazione
ricevuta durante l'infanzia. Sono cresciuto in una famiglia alcolizzata e
violenta, e durante i primi anni della mia vita patii alcuni gravi problemi
di salute. Inoltre, a causa dell'irresponsabile condotta economica della mia
famiglia, non era mai certo se avremmo mangiato o dove avremmo dormito.
Tutto ciò significò che frequentai la scuola con molta irregolarità, e
quindi non ebbi amici coetanei. Inoltre, la relazione di amore-odio che
avevo sviluppato verso la famiglia mi rendeva confuso e insicuro delle
emozioni mie e altrui. Ciò provocò non solo una bassa stima nei miei
confronti, ma anche verso gli altri. All'inizio dell'adolescenza, la
consapevolezza di avere un orientamento sessuale diverso dagli altri non
fece che aggravare il senso di alienazione da me stesso, gli altri e il
mondo.

Il risultato di tutto ciò furono alcune tristi domande esistenziali del
tipo: «Cosa c'è di sbagliato in me?» e «Cosa ho fatto per meritarmi questa
infelicità?». Poiché non c'erano in vista risposte soddisfacenti, pensai più
volte al suicidio. In un'occasione mi spinsi fino a incidermi i polsi con un
rasoio; per fortuna, la vista del sangue mi dissuase dal proseguire.

A metà dell'adolescenza, cominciai a cercare risposte attraverso la
religione. Poiché la mia famiglia non era religiosa, non avevo inclinazioni
verso il cristianesimo, cosa che mi impedì di venire in contatto con l'idea
del peccato. D'altra parte, la mia famiglia era profondamente interessata
all'arte orientale, sicché avevo familiarità con la figura del Buddha e mi
trovavo facilmente d'accordo con l'insegnamento buddista secondo cui siamo
venuti in questo mondo come esseri sofferenti, non come peccatori.

Ben presto, l'università mi costrinse ad abbandonare gran parte della mia
ricerca spirituale. Ma una volta finita l'università, la ricerca riprese più
intensamente che mai. Andai molte volte avanti e indietro tra il buddismo e
varie scuole cristiane, perché tutti avevano qualcosa che mi attraeva e allo
stesso tempo mi alienava ulteriormente. Il buddismo mi permetteva di dare un
senso intellettuale alla mia alienazione, ma rinforzava tale condizione
insegnando che i comuni sentimenti di lussuria, rabbia e avidità
trasformavano una persona in un essere umano di seconda classe, in confronto
ai Buddha e agli arhata (santi). Il cristianesimo, con tutta la sua sfiducia
verso l'umanità peccatrice, almeno insegnava che eravamo tutti ugualmente
sbagliati, e che quindi non esisteva un'elite spirituale che trascendeva la
comune natura umana, facendo sentire inferiore il resto di noi. Alla fine,
tuttavia, la realtà di un mondo sofferente era troppo in dissidio con l'idea
cristiana di un Dio giusto e amorevole.

Non molto tempo dopo aver compreso profondamente questo, mi imbattei
nell'International
Buddhist Meditation Center (IBMC) e, grazie a esso, riscoprii lo Zen.

Ho detto "riscoprii" perché da adolescente avevo guardato Alan Watts alla TV
e avevo letto tutti i suoi libri; ma, a parte questo, lo zen per me era
rimasto senza volto fino a quando non incontrai la Rev. Karuna Dharma. Fu
lei a rendermi consapevole che lo zen accettava la mia natura umana per
quello che era. Ciò, credo, fu una catarsi almeno intellettuale, anche se
non ancora quella profondamente emotiva che avrei sperimentato in seguito.

Dopo alcuni anni di frequentazione dell'IBMC, il partner con cui stavo
insieme da sedici anni si ammalò; per i successivi due anni, passai la
maggior parte del tempo ad assisterlo, finché morì. Fu a quel punto che i
miei anni di ricerca spirituale diedero tutti i loro frutti. Nei giorni
immediatamente successivi alla scomparsa del mio amato, la mia esistenza era
così assorbita dai dettagli pratici della sua morte che non ebbi tempo per
piangere. Ma poi venne il giorno dopo il funerale, quando tutto ciò che era
necessario fare era stato fatto. Quella mattina mi risvegliai in ciò che
posso solo descrivere come un attacco di panico che minacciava la mia sanità
mentale. Ero convinto che i muri, il soffitto, perfino il pavimento, si
stessero chiudendo e mi avrebbero schiacciato. Sentivo che dovevo scappare
da tutto ciò che era familiare, e per disperazione guidai fino alla mia
agenzia di viaggi, augurandomi che potessero darmi un biglietto aereo per un
posto qualsiasi.

Quando arrivai all'agenzia, il panico aveva raggiunto il livello massimo.
Dopo mesi di assistenza al morente di notte, e di insegnamento alla scuola
elementare di giorno, ero fisicamente ed emotivamente esausto. In breve,
l'ego
al controllo era al collasso. Pensavo che nulla avesse importanza, nemmeno
la mia stessa esistenza. Sperimentai ciò che posso solo descrivere come una
morte temporanea del sé. Tale stato non durò più di tre o quattro minuti,
quando improvvisamente mi accorsi che l'intero universo si stava aprendo a
me, riconoscendomi come un essere dal valore puro e incondizionato. Mai,
prima di allora, avevo avvertito un tale senso di assoluta libertà e
connessione totale a ogni cosa esistente. Tutti gli anni di intenso
conflitto con i miei dubbi esistenziali, la mia rabbia e la mia alienazione
dagli altri e dal mondo, improvvisamente svanirono. Tutto l'incessante,
continuo sforzo di trovare una risposta alle mie domande perenni, così come
la certezza o la fiducia che una risposta era disponibile, raggiunse il
culmine. In termini zen, ciò che stavo sperimentando era la grande morte
dell'ego, seguita dalla grande liberazione nell'assenza dell'ego. In breve,
kensho o satori.

Non lo riconobbi subito come satori; avevo fatto troppa pratica zen per
questo. Troppo spesso ai praticanti zen accadono esperienze euforiche che a
un primo momento sembrano il satori, ma che si rivelano semplicemente brevi
e intense esperienze "di vetta". La prova di un satori genuino è il fatto
che il precedente io-sé alienato non fa ritorno. Se lo fa, tutto ciò che si
è sperimentato è una temporanea, estatica tregua. Ma poiché la mia
condizione precedente, dopo 14 anni, non è riaffiorata, e poiché
personalmente ho molta familiarità con la natura temporanea delle esperienze
"di vetta", ho compreso che si trattò di un risveglio autentico.

Non vorrei dare l'idea che questo risveglio fosse un'esperienza così
completa da non aver bisogno di essere rifinito e rinvigorito da una pratica
molto diligente. Il risveglio iniziale e i successivi, meno profondi satori,
mi fecero capire chiaramente la necessità di una pratica continua e più
intensa.

Di fatto, questo è il motivo per cui, dopo aver impiegato molti anni per
riadattarmi a una vita solitaria, alla fine ho deciso di formalizzare il mio
sentimento di integrità diventando un prete zen.

Prima di chiudere, vorrei chiarire una cosa.

Un'esperienza di satori, mentre da un lato crea un grande senso di libertà,
integrazione e pace personali, non è uguale all'esperienza
dell'illuminazione,
qualunque cosa ciò significhi. Io sono un prete zen e un insegnante del
dharma che ha ricevuto la trasmissione clericale, nulla di più. Ricevere la
trasmissione dell'insegnante del dharma equivale a riconoscere che la
comprensione e la fede negli insegnamenti sono abbastanza avanzati da
qualificare colui che riceve come insegnante. Nello zen, per essere
considerati totalmente illuminati, bisogna ricevere una trasmissione da
mente a mente, ovvero il riconoscimento che il ricevente ha raggiunto lo
stesso livello di illuminazione o satori del proprio maestro zen, che in
teoria è lo stesso conseguito dal Buddha Shakyamuni.

È importante osservare che l'essere semplicemente in grado di insegnare il
dharma non garantisce che l'insegnante sia completamente illuminato, così
come la piena illuminazione non garantisce la capacità di insegnare il
dharma. Per cui, la trasmissione da mente a mente non qualifica
automaticamente una persona come insegnante zen (o del dharma).

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Rev. Vajra è un insegnante di Zen Dharma all'International Buddhist

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