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SCHEDA ARTICOLO N. «00744»

CLASSIFICAZIONE: 2
TIPOLOGIA: BUDDISMO
AUTORE: VAJRA KARUNA
TITOLO: PECCATO E SALVEZZA, NEL BUDDISMO E NEL CRISTIANESIMO
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TESTO ARTICOLO

Peccato e salvezza nel buddismo e nel cristianesimo

(di Vajra Karuna)

Il peccato, buddista o cristiano, non è solo un sinonimo del male. Il suo
significato specifico è un'azione che viola una legge sacra o minaccia le
fondamenta stesse della nostra umanità. Nel cristianesimo è Dio che
stabilisce l'ordine morale del mondo; quindi, chi viola questo ordine viola
la volontà divina. È un atto di slealtà, se non di tradimento, verso il
proprio creatore. Nel buddismo non esiste un simile creatore, ma è presente
un ordine morale predeterminato associato al karma.

Mentre la teologia cristiana ha scrupolosamente classificato i peccati
secondo una dettagliata gerarchia, l'approccio buddista è stato molto più
limitato. Nel buddismo esistono cinque azioni principali che possono
veramente definirsi peccati mortali o efferati. Esse sono: uccidere il
proprio padre, uccidere la propria madre, versare il sangue di un Buddha,
distruggere l'armonia di un ordine monastico (il sangha), uccidere un santo
buddista (arhat) e/o distruggere statue e sculture buddiste.

Nel buddismo mahayana, uccidere un insegnante del dharma e un maestro dei
precetti sono considerati peccati cardinali tanto quanto gli altri cinque.

Nel buddismo tradizionale, si dice che commettere uno di questi cinque o
sette peccati condanni una persona all'ultimo e peggiore dei regni
infernali. Possiamo aggiungere a questi peccati cardinali la violazione di
uno qualsiasi dei cinque precetti generali, ovvero: non fare del male agli
esseri senzienti, non rubare, non mentire, non indulgere in atti sessuali
impropri o nell'uso di sostanze intossicanti. Con questi, il buddismo
annovera fino a dieci o dodici peccati.

Uno dei fattori che può distinguere la concezione del peccato buddista da
quella cristiana è l'insegnamento cristiano secondo cui l'umanità è nata nel
peccato (originale), mentre il buddismo insegna che siamo nati nella
sofferenza. Ma anche il karma agisce come una sorta di peccato originale, in
quanto si dice che ciascun individuo nasca con un certo karma a causa dei
suoi peccati passati. Tuttavia, mentre il cristianesimo insegna che gli
esseri umani sono troppo degenerati per salvarsi dal peccato senza l'aiuto
di Dio, la maggior parte delle scuole buddiste sostiene che lo possiamo fare
da soli.

Di certo, uno degli aspetti prioritari che distingue il peccato buddista da
quello cristiano è il fatto che nessun Dio chiede ai buddisti di
intraprendere crociate morali per salvare gli altri dai loro peccati, come
invece avviene per i cristiani. Ciò vuol dire che nel mondo poche persone
sono state danneggiate dalla concezione buddista del peccato, a differenza
di quanto avvenuto con quella cristiana.

Per comprendere invece l'approccio zen al peccato, bisognerebbe notare che
esistono, in genere, tre diversi atteggiamenti religiosi verso il peccato e
la salvezza. Il primo afferma che io vengo salvato nonostante continui a
commettere peccati: è il punto di vista del cristianesimo "disimpegnato" e
del buddismo della "terra pura" (Jodo Shin Shu). Il secondo sostiene che
vengo salvato e non commetterò più peccati: è l'approccio del cristianesimo
"rigido". Il terzo dice che vengo salvato perché, in primo luogo, i peccati
non esistono. Questo è l'approccio dello zen illuminato.

Ciascuno di questi punti di vista presenta problemi di natura filosofica,
metafisica e anche morale. Il primo e l'ultimo, in particolare, comportano
rischi morali più grandi del secondo. Troppo spesso è possibile usarli per
giustificare comportamenti molto egoisti. La debolezza umana, in sé, non è
un peccato; sfruttarla deliberatamente, in se stessi o negli altri, è un
peccato. Molti occidentali vengono attratti dallo zen perché quest'ultimo
crede che siamo intrinsecamente buoni; quindi, nello zen non esistono
prediche sul peccato.

Ma lo zen cerca di chiarire che, finché non si è raggiunta la piena
illuminazione (satori) e non si è abbastanza maturi per affrontare il
concetto dell'inesistenza del peccato, è moralmente più sicuro assumere che,
in primo luogo, il peccato è reale.



Rev. Vajra è un insegnante di Zen Dharma all'International Buddhist
Meditation Center, www.ibmc.info,

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