Da:
Elen Jimittan
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ESSERE E DIVENIRE
Tutto passa; tutto scorre; tutto è evanescente. Un re dell'antica Persia chiamò i suoi consiglieri e disse: «Datemi un detto, un adagio, un proverbio che mi conferisca una filosofia di vita che possa salvarmi in ogni situazione». Tra i vari detti propostigli scelse il seguente: «Anche questo finirà», che divenne il suo motto, ed egli lo fece scolpire sul suo anello.
Era un adagio, un detto, una massima che poteva dargli una risposta adeguata, un consiglio saggio in ogni circostanza della sua vita come uomo e come re dell'impero persiano. Queste parole: «Anche questo finirà» splendevano con una luminosità celeste quando i raggi del sole o di qualsiasi luce battevano sull'anello.
Una volta, i gioiellieri e i mercanti portarono al re, cammelli, gemme e perle preziose da Samarkhanda, facendogliene omaggio. Poi i marinai della flotta regale gli portarono coralli, perle e altre ricchezze del mare, volendo arricchirlo e letificare il suo cuore.
Ma il saggio re guardò con indifferenza stoica tutte queste offerte, ripetendo tra sé: «Ma, che cos'è la ricchezza? Anche questo finirà».
Si sedette come ospite d'onore ai fasti, banchetti, piaceri e divertimenti del lussuoso palazzo all'interno della corte orientale, e osservò con tranquillità imperturbabile le scene di baldorie, di danze incantatrici, di baci e abbracci delle ninfe di corte. Alla fine, maestosamente, si alzò e disse con accenti gentili, sereni e fermi: «I piaceri vengono e vanno, non durano: anche questo finirà».
Il re ebbe come consorte la donna più bella, gentile e graziosa di tutto l'antico Iran. Incoronata regina, ella superò tutte le altre regine della Persia in bellezza, grazia e amore. Sul letto di nozze, adagiato sui molli cuscini sopra gli splendidi tappeti persiani, giaceva il re, sussurrando a se stesso:
«Sì, nessun re, sha, o monarca di questo mondo ha mai avuto in sorte una donna più bella della moglie che mi stringo al petto Ma questa donna più bella del mondo non è altro che argilla. Anche questo finirà».
La chiamata severa del dovere regale lo portò al campo dI battaglia. Nell'infuriare del combattimento un dardo lo colpì ed egli cadde sanguinante.
I soldati lo portarono nella sua tenda e, sospirando sulla dolorosa ferita, il re disse: «Si', il dolore è durissimo da sopportare, ma ci vuole pazienza. Anche questo finirà».
Guarito dalle ferite di guerra, egli ogni tanto si travestiva e camminava in incognito. Un giorno, fermandosi nella piazza principale, vide la sua effigie, una statua di pietra colossale alta 20 metri, scolpita dagli artisti del regno, adorna e ricca.
La osservò da vicino e poi disse dentro di sé: «Il popolo, per onorarmi e immortalarmi, ha eretto questa statua. Ma cosa sono onore e fama? Evanescenza e lenta decadenza. Anche questo finirà».
Ormai invecchiato, logorato e colpito da paralisi, il re, riposando sul letto, davanti alle porte dorate, disse con uno sforzo prima di esalare l'ultimo respiro: «La vita è già finita. Ma cos'è la morte?» Il sole che splendeva fuori, allora, colpì con un raggio il suo anello, dove egli vide rifulgere, radioso e luminoso, il saggio scritto da lui scelto:
timbro della caducità, della provvisorietà."
Disse Giobbe, il saggio del Vecchio Testamento: «Homo natus emuliere, brevi vivens tempore, repleturmultis miseriis»
- uomo nato da donna, che vive per breve tempo, è pieno colmo, di sofferenze molteplici -.
Ecco il problema della sofferenza, del dolore che colpisce tutti gli esseri nati nell'universo. Nascita implica morte; giovinezza comporta vecchiezza; salute significa malattia. Tutti gli esseri nascono, crescono, si invecchiano e muoiono. Anche il sole, le stelle e le galassie nascono, crescono e muoiono. Anche l'uomo, questa scintilla di coscienza involucrata nella carne e nelle ossa, nasce, cresce, si invecchia, si ammala e poi muore; come i fiori di campo fioriscono all'alba, al sorgere del sole, e poi danzano di gioia profumando la terra, e al tramonto sfioriscono, appassiscono e muoiono. Questa è la sorte di tutti gli esseri mortali: avere un inizio e un termine.
Anche questo finirà.
Eraclito di Efeso, il filosofo del divenire, della transitorietà della vita, disse che tutto scorre incessantemente come la corrente del fiume, di cui nessuno può toccare due volte la medesima acqua.
Generazioni e generazioni di esseri umani nascono e spariscono. Dove sono andati i tuoi compagni di scuola, tu che ormai sei arrivato alla vecchiaia? Sono scomparsi nella tomba, sulla pira, nel forno crematorio, o sulla torre del silenzio. L'oro e l'argento, la ricchezza e i tesori che tu hai accumulato, dove sono? Tutto è un pugno di sabbia e un pezzo di argilla e nulla più. Vollero, gli Ebrei, incoronare Gesù come loro re, ma dopo essi stessi gridarono: «Sia crocifisso Gesù, e ci venga dato Barabba, l'assassino». Abbiamo visto coi nostri occhi Hitler e Mussolini all'apice della loro gloria. Abbiamo visto anche le scene del suicidio disperato di Hitler, il Fuhrer, e l'impiccagione di Mussolini, il Duce. Onori, fama, ricchezze, perle, oro e argento, piaceri dei sensi e paradiso artificiale di sesso e sensualità - la danza di morte di Mammona e Venere - sono tutti fugaci, illusori, snervanti, seducenti, ma 'mortem ferentes'. Noi, dunque, vogliamo la saggezza dei santi, dei saggi, nella nostra vita pratica, per entrare in un'isola di pace incondizionata, di vera gioia immarcescibile, e conquistare quella immortalità conscia che la marea della concupiscenza non può sommergere, quella immunità da vizi e da peccati che nascono dall'ignoranza.
Essendo compresi e situati tra il mondo dell'Essere e quello del divenire - noi, cittadini di entrambi gli universi, quello durevole, eterno ed immortale da un lato, e quello di fugacità, impermanenza e caducità dall'altro - dobbiamo imparare la saggezza dei santi per trovare l'equilibrio tra l'astrazione contemplativa dell'Essere e l'impegno operativo nel mondo del divenire. Non è questione di tralasciare l'uno per l'altro, ma di avere la giusta visione delle cose, di acquisire quella saggezza che potrà potenziare la nostra mente e la nostra intelligenza permettendoci di vivere nel seno dell'Essere e, nel contempo, agire nel mondo del divenire, di compiere tutti i nostri doveri, di compiere la nostra missione sulla terra e, così, raggiungere l'altra sponda della vita, che è Pace, Serenità, Amore nel cuore dell'Essere, il Reale, l'Eterno, l'Immortale che le religioni tradizionali hanno chiamato Iddio, Allah, Deva, Brahma, Tao, ...
L'Essere non si deve contrapporre al divenire, né il divenire dev'essere posto agli antipodi dell'Essere; così, non vi dovrebbe essere una conflittualità, ma un connubio tra la filosofia dell'Essere di Parmenide e la filosofia del divenire, del 'Panta rei' - tutto scorre - di Eraclito di Efeso.
Nello stesso modo, non vi dovrebbe essere una lotta tra il misticismo intuitivo asiatico dell'Essere e l'empirismo pragmatico e positivistico della filosofia del divenire europea; ma, bisognerebbe creare un'armonia, integrazione, osmosi, simbiosi, matrimonio tra questi due modi di percepire ed interpretare il mondo noumenico e fenomenico. Nello stesso modo, si devono trovare equilibrio e sintesi tra lo spirito introspettivo asiatico, che scaturisce da una implicita visione realizzativa dell'Essere, e lo spirito estroverso europeo, che scaturisce da una visione utilitaria e pragmatica del mondo del divenire. Dobbiamo effettuare questa sintesi tra l'Essere Supremo e il divenire fenomenico e portare questa visione sintetica, unitaria, integrale nella nostra vita pratica: nella nostra vita sociale, economica, politica, nazionale ed internazionale, rendendo così a Cesare ciò che appartiene a Cesare e a Dio Ciò che appartiene a Dio.
Il regno di Dio sulla terra, il Nirvana, abbraccia tutti e due: l'universo ontologico dell'Essere e il cosmo fenomenico del divenire. L'uomo deve ridiventare, consapevolmente, un figlio dell'Essere, dell'Altissimo, di Dio, generando in sé stesso la coscienza cosmica dell'Essere nel mondo del divenire e del divenire nel mondo dell'Essere. Fino a quando noi non effettueremo questa armonia tra il mondo materiale empirico della mente e l'universo dell'Essere dello spirito, continueremo a soffrire, e non solo noi esseri umani, ma tutto il creato. Ecco perché San Paolo, lo gnostico, scrisse: «Scimus omnis creatura ingemiscit et parturit (dolorem) usque adhuc expectantes adoptionem filiorum Dei» - Noi sappiamo che tutte le creature sospirano e partoriscono (dolore) nell'attesa dello stato di figlie adottive di Dio
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