Due episodi di vita, due occasioni di pratica
(di Silvio Anselmo)
[ Tratto da SATI, rivista dell'AMECO)
Il primo episodio mi è accaduto alcuni giorni fa. Avevo programmato di prender parte al ritiro di Montefiolo guidato da Ajahn Chandapalo, avrei fatto i due giorni di fine settimana. Ero rilassato e intimamente gioioso, pregustando le dolcezze meditative e la compagnia di amici del Sangha, oltreché la bellezza del luogo che in questo inizio di primavera con i suoi colori delicati e l'incipiente esplosione di energia vegetale è particolarmente commovente.
Lascio la Salaria e mi inoltro nella strada che mi condurrà alla mia destinazione. Un blocco della polizia stradale mi ferma. Controllano i documenti e scoprono - insieme con me - che ho la patente scaduta da due anni. Sono costernato. Non è possibile! Guardate meglio. Ahimè, è proprio così. Il poliziotto di grado superiore è gentile e comprensivo: se fossero solo pochi giorni potrebbe lasciar correre, ma con una infrazione così grave deve fare il verbale e ritirare la patente, che potrò riavere andando alla prefettura di Rieti dopo aver fatto tutte le pratiche di rinnovo. Dovrò anche pagare una multa, di quelle che senti che ti svenano: 245.000 lire. Con aria mogia mogia, sperduta, faccio un debole tentativo di farli soprassedere, ma senza successo. Con il verbale ho tempo fino a mezzanotte per rientrare a casa. Tutti i programmi vanno in fumo, e oltre alla multa salata dovrò anche perdere una mattinata per andare a Rieti. M'aspetto una violenta contrazione di rabbia, amarezza, dispiacere che durerà a lungo, rovinandomi il week end, e invece subito, fin dall'inizio, è presente una parte di me che vede il tutto come se accadesse a un estraneo; c'è la contrazione dolorosa ma è leggera, e c'è anche una consapevolezza durevole, fiorita autonomamente, che mi porta una profonda, naturale accettazione serena.
Saluto i due poliziotti e riprendo la mia corsa, deciso a fare il ritiro almeno per quel giorno. Durante il percorso continuo a ripensare a ciò che è successo e scopro che una parte di me è sconcertata, con dolore, per questa serena accettazione dell'accaduto; come se avessi smarrito un po' della mia identità non provando rabbia e dolore per quello che, stando al consueto, comune e 'normale' modo di reagire, era così frustrante e negativo. Probabilmente ciò è accaduto perché fin dall'inizio della giornata il mio animo si era disposto a un modo d'essere dharmico, non identificato, consapevole, leggero, arioso.
Tutta la breve giornata di ritiro è trascorsa poi in serena compagnia con quell'accadimento. E con un'accresciuta fiducia nel Dharma.
Secondo episodio. Alcuni giorni dopo sono alle prese con la consueta frenetica attività; frenetica anche quando non è assolutamente necessario, per radicata abitudine, 'per vizio'. Devo fare alcune telefonate noiose per riscuotere pagamenti. È una di quelle cose che tendo a fare 'smarcando' il più possibile; me ne voglio liberare con furia, con fretta contratta, dolorosa, tutto preso solo dal frutto (dimentico della lezione di Corrado), e quindi non nel presente bensì tutto proiettato nel 'dopo', quando verrà la vita vera, quella rilassata, appagante, degna di essere vissuta. Un dopo che, naturalmente, non viene quasi mai.
Durante una di queste telefonate, all'altro capo del telefono mi risponde un'impiegata che è evidentemente nuova a quell'incarico; risponde compunta e precisa ma senza 'capire' e 'non mi riconosce', complicando l'operazione e chiedendomi per di più di ritelefonare. Sento dentro di me salire una rabbia forsennata, assolutamente sproporzionata, tanto che riesco a controllarla a stento, mantenendo la dovuta correttezza formale; anche se questo mi è stato possibile solo perché subito è corsa in mio aiuto la consapevolezza che ha tolto energia alla rabbia e m'ha fatto uscire d'incanto dalla furiosa identificazione in cui m'ero infilato. Messa giù la cornetta, sono rimasto a lungo stordito, incredulo, ma consapevole e via via più sereno. Dopo un po' ridevo di quella follia. Perché era accaduto? Credo perché l'agire frenetico, teso solo allo scopo, al frutto, aliena, reifica il prossimo e risucchia in un gorgo identificatorio che stritola le nostre vite. Perdiamo l'Essere ipnotizzati-illusi dal divenire. Una buona lezione che la consapevolezza, quando è presente, rende proficua, maturante, benefica; da esser quasi contenti che sia accaduta
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