(di Mauro Barinci)
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Un pomeriggio esco dal lavoro con in testa una nube gonfia di pensieri, sensazioni, emozioni che si intrecciano, si incontrano, si scontrano, si combinano in continuazione, rimanendo perciò indistinti. L’unica percezione definita è questo mulinare.
Cammino, non mi va di prendere l’autobus. In sottofondo si affaccia e poi si precisa rapidamente una attrazione per il parco; decido di arrivarci e di attraversarlo.
Passando dai rumori del traffico – indistinti in quanto abituali e dati per scontati – ai suoni del parco, particolarmente luminosi, il mulinare viene meno. A volte sperimento intuizioni profonde e nitide, con un subitaneo e fluido ampliarsi della visione oltre i limiti consueti. Altre volte invece ogni movimento della mente si sospende e c’è soltanto essere con (quello che c’è, al momento); essere, semplicemente. In questo secondo caso mi accade poi, incidentalmente, di sperimentare un ben naturale e delicato rallegrarsi per tutto ciò con cui i sensi vengono in contatto. Non essendovi più giudizio, la mente diviene sgombra, particolarmente luminosa e chiara, come i colori nella luce del primo mattino.
In particolare, noto – ora in modo esteso e non episodico – come le cose non siano mai uguali: la foglia di un albero cambia continuamente posizione sotto l’effetto del vento e quest’ultimo, a sua volta, è di intensità, direzione, grado di umidità, contenuto di polvere variabili anch’essi in continuazione (parlo di differenze minime); la luce in un tempo molto breve varia per direzione, intensità, luminosità, morbidezza. Rallento molto il passo, fino quasi a fermarmi, per poter essere meglio con la luce e la percezione connessa dei colori.
Noto inoltre come sia presente l’impermanenza e come la sua presenza sia permeata di accettazione partecipativa, amichevole; priva del disagio doloroso dell’attaccamento e dell’avversione; non soltanto, perciò, straordinariamente chiara e lieve. Tutto intorno, ad esempio, vi sono foglie morte, rami secchi; c’è il corpo in decomposizione di un uccello. La morte, il distacco, è un evento e nient’altro, immerso nella quiete luminosa della consapevolezza; lo accolgo con apertura, con abbandono fiducioso e sereno. Senza riserve, perché non c’è più giudizio, che è radicato nel passato; sperimento i fatti come la vista, il respiro, il contatto con il suolo abbiano ora una qualità di freschezza per cui, ad esempio, ogni respiro (ogni minima frazione di respiro) è unico.
La freschezza delle sensazioni mi rende difficile orientarmi e ricorro al giudizio, questa volta però in pura funzione cognitiva (e noto come senza il fardello di attaccamenti e avversioni il giudizio sia lieve, agile e non oppositivo). Arrivo a Valle Giulia e, lentamente, riemergo nei suoni (non più rumori) del traffico. Nel percorso fino a casa accompagno la (sono accompagnato dalla) consapevolezza. Progressivamente poi ritorna il giudizio, ma permane a lungo l’eco della consapevolezza e il confronto, sul quale il giudizio si fonda e del quale è espressione, è meno aspro, meno limitativo; soprattutto meno abbarbicato al passato. Per il prossimo mese lavorerò dunque sul giudizio e sull’abbandono.
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