L'ULTIMO DEGLI EGOISMI UMANI
(di Guido Da Todi)
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Io non so cosa intendano coloro che si riferiscono bisogna portare a Dio>.
Tralascerei, per il momento, di parlare dei soliti concetti sul monismo e sul dualismo (possono, a lungo andare, stancare.diciamoci la verità).
In essi, probabilmente, affermare che Tutto è Uno, significa, anche e di conseguenza, dire che - giunto all'estremo della perfezione - l'individuo è forzato a considerare un amore astratto e non meglio definibile, che va in una sola direzione: appunto, l'Uno Tutto.
E, portata la questione in questi termini, essa può mostrarsi giustificabile.
No, non voglio dire questo.
Io mi riferisco, invece, a coloro (uomini e donne) che - sicuramente non avendo raggiunto la vera percezione di Dio - insistono ad affermare che il fine ultimo dell'uomo sta nel dedicarsi Lui>, ed amare .
Iniziamo a vedere il fenomeno - spropositatamente messo in evidenza - nei monasteri di clausura, negli eremitaggi, nei conventi.
Colui e colei che si dedicano al Signore, molto spesso, hanno sicuramente escluso il resto del mondo da questo totale amore. O, per lo meno, lo hanno posto in secondo piano, rispetto alla loro dedizione individuale a Dio.
Già essi iniziano la frattura, prima del dono della loro vita all'Ordine Religioso. Raccolgono, da una parte, come cocci senza valore, tutti gli affetti, tutti i valori umani - non strettamente dedicati a quello celeste - ed ogni altro sentimento umano; e li rinnegano. Dall'altra, invece, evidenziano solo Dio. E verso di Lui iniziano ad proiettare il dono assoluto del proprio io.
Da quel momento, prende forma un terribile ; questo amore altero, direi glaciale, perfetto di una perfezione eburnea; ma, in effetti, intriso del più forte ed acuto egocentrismo personale, e di una ignoranza di fatto, riguardo a ciò che, invece, è la natura spontanea del fenomeno.
Chiamo, questo: .
E vi prego di studiarne il processo soggettivo, con più attenzione. Esso appare anche in spirituali> che potrebbero sembrare, nella facciata, fuori di ogni sospetto.
Il fatto che la meta dell'uomo è una formula tradizionale diffusa più di quanto non sembri, a prima vista.
Fateci attenzione, e comincerete a scorgere tale atteggiamento un pò dappertutto.
Ora, non vorrei essere frainteso.
Dico anche io che la meta dell'uomo è , con intensità pari a quella di ogni sua altra esperienza materiale, la sottile e penetrante Vita onnipervadente della divinità. Dico anche io che la sperimentazione di codesta catartica destinazione attende ogni uomo e donna al termine del Sentiero; ed affermo che la gioia assoluta (come dicono le Upanishad) accompagnerà, in eterno, chi ha fuso la propria anima individuale con quella infinita di Dio.
Ma, codesto, è un altro discorso.
Si dà il caso, tuttavia (e lo può immediatamente testimoniare solo colui che ha, per lo meno, un minimo barlume di verace rapporto con l'Uno) che il primo fenomeno reattivo che egli riceve dalla fusione con Dio sia una spinta immediata a donarsi in ogni direzione, e ad amare tutto ciò che la sua coscienza riconosce come vita.
È difficile comprendere e - ancora - spiegare la dimensione in cui e con cui si esprime la Nota sacra dell'Uno.
Essa, intanto, ha la connotazione dell'universale. Cosa vuol dire ciò? In ultima analisi, significa accettare che tra noi ed il resto delle cose tutte non vi è un margine, una separazione, un qualunque tipo di demarcazione.
Proprio così. Prima noi ci rendiamo conto che quella gabbia posticcia e mentale che ci siamo costruiti a schermo dell'universo, e che chiamiamo i personale> (sublime o meschino che sia) rappresenta il volano diretto della nostra illusione (Maya) e prima cominceremo a vacillare, perplessi, nella constatazione reale e magica che non esiste nè una giuntura, nè una frattura fra noi ed il resto del cosmico.
È un'esperienza che attende tutti coloro che si trovano nel sentiero dell'evoluzione.
Gradatamente, penetreremo nella quotidiana consapevolezza del grandioso fenomeno - avvertibile in ogni sua risonanza - del nostro essere Uno e Tutto.
Però, più che avere la consapevolezza sempre maggiore della costante riduzione, sgretolamento e dissoluzione della nostra mente individuale, e più che percepire un'intensificazione crescente di quella che, altrove, è stata chiamata la , altro non riusciremo a realizzare, in questa dimensione.
L'assoluto, proprio in quanto tale, pone dei termini categorici ad ogni suo aspetto relativo. Cosa può mai venire pensato, nello stato di mancanza del pensiero? Cosa può realizzarsi, nella realizzazione ultima? Cosa può articolarsi, lì dove tutto è già articolato?
Di solito, a questo punto, cessa la via del monismo ed inizia quella del dualismo.
Il monista è pago di questa indicibile esperienza del riconoscersi Uno Tutto; un'esperienza che - come vuole la regola di questa magnifica Scuola tradizionale - non può, nè deve essere descritta: ma, solo sperimentata.
Il dualista - secondo Ramakrishna - è la faccetta speculare del monista (e viceversa).
Malgrado le due scuole sembrino antinomiche tra di esse, si esprimono proprio come asseriva Ramakrishna; che diceva:" Brahman è saguna e nirguna, allo stesso tempo; cioè, Brahman è Dio con forma e Dio senza forma: l'Assoluto.
In qualche maniera, allora, dobbiamo accettare la lezione di immortali Scritture, come la Bhagavad Gita; oppure, il modo di essere e di realizzarsi di grandi Maestri (Ramakrishna, Vivekananda, Aurobindo, Sri Yukteswarj), i quali si rivolgevano all'Incarnazione dell'Assoluto, parlando - in modo sicuramente non illusorio - alla Grande Madre, Shakty; al Padre (Gesù, il Cristo); a Krishna (Arjuna).
Non è possibile proseguire oltre, sulla via della realizzazione, se non combiniamo in noi - in modo equilibrato - i due aspetti della cosmicità: saguna e nirguna. Il Dio senza forma, e il Dio con la Forma.
Fratelli miei, non ascoltate - vi prego - coloro che vogliono trascinarvi in una sola delle strade spirituali: quella astratta, oppure la concreta. Ambedue, se privilegiate - pur possedendo, ognuna, affascinanti smerigliature - sono destinate a perdervi, alla fine, se non riuscirete ad unirle, equilibrandole in voi.
Le grandi sentenze dei Veda esprimono l'identità di Brahman e del Sè. L'anima individuale - lo jivatman e l'Anima Suprema - il Paramatman - sono Uno. Nessun abisso le separa. Ed eccoci tornati al punto che ci interessa.
Vista sotto l'ottica della sua natura universale, la Vita Una non può venire scissa dagli apparenti aspetti parziali che la formano.
Vostra moglie e vostro marito; i vostri genitori; i figli, e coloro che formano l'ambiente usuale che frequentate; l'intensa e formicolante vita umana, e non umana, che pulsa, si muove e vive, alacre, sul nostro pianeta, ed oltre, sono proprio quella Vita Una di cui parliamo: quella in cui non appare alcuna frattura separativa tra gli elementi che la compongono.
Tutto ciò è esattamente Dio.
Come possono illudersi, coloro che fanno la scelta di amare solo Lui, di separare dal Suo Essere ogni cellula che ne forma l'infinita organicità mistica?
Non vi accorgete dell'enorme illusione in cui sono immersi?
Come si può affermare di voler amare solo Dio se Egli è ? Ossia, è tutti coloro che appaiono come onde dell'oceano, ed è l'oceano stesso?
Se amerete con tutti voi stessi una sola onda dell'oceano, amerete l'oceano intero. Amerete Brahman.
Ogni atto di dedizione, ogni atto di altruismo, ogni atto di totale e gioiosa offerta del proprio io a qualunque individuo della specie umana, e no; ogni puro sentimento che vada al nostro prossimo (dal sincero amore verso il coniuge, a quello dei giovani che fanno servizio sociale) si dirige automaticamente anche a Dio.
Quindi (con buona pace di noialtri, ..), anche coloro che non si interessano di Dio e delle teologie metafisiche, ma vivono ed esprimono l'amore puro e laico del loro cuore, nel mondo degli affetti e dei doveri umani; anche costoro amano l'assoluto, donandosi alle sue relative.
Di conseguenza, volere escludere la Vita Una, l'Antico dei Giorni, Krishna dal resto degli altri nostri amori è, per contro, la più sottile delle illusioni ed il più freddo degli egoismi spirituali. Non preoccupatevi, amici cari, se ritenete di non sapere raggiungere Dio. Perchè lo avete, lì, accanto a voi, nelle sembianze di ogni persona che vi accompagna, da presso, nel vostro viaggio reincarnativo.
Amate l'onda! Ed essa trasmetterà - automaticamente e naturalmente - il vostro amore all'oceano. Questo è il grande valore che soggiace nel concetto indiano del dharma e del karma yoga. Compiendo strettamente i vostri doveri, amando coloro che vi circondano, e servendoli, voi amate e servite Dio; che è Uno con Tutto ciò che esiste.
Sarà solo allora che avrete il dono e la benedizione del contatto personale con il Dio della Forma; e che il Signore si mostrerà a voi - come solo Lui sa fare - in quell'esperienza di amore infinito e personale che Egli ha sempre avuto con i Suoi figli.
Vi sembra una teoria mistica ed infantile?
Sono, a questo punto, ben pazzi i grandi Guru della tradizione millenaria che abbiamo alle nostre spalle!
Ognuno di essi ha avuto questa identica esperienza di fusione con l'Uno, e, da allora, risiede in Lui, nella felicità che attende tutti, tutti noi.
Quindi: amore per l'Anima Universale e per l'anima individuale.
Questo è l'unico modo di unirsi con l'Uno Tutto!
Vi auguro ardentemente che possiate riconoscere il Profumo di Dio nella prima persona che incontrerete - dopo aver finito di leggere queste mie parole.
Vi accorgerete che la dedizione e la tenerezza verso il nostro prossimo sono le sole catene che riescono a legare a voi la stesso Dio Vivente.
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