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SCHEDA ARTICOLO N. «01806»

CLASSIFICAZIONE: 3
TIPOLOGIA: YOGA
AUTORE: JESSICA TORRES
TITOLO: IL CAMMINO DELLA YOGINI
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TESTO ARTICOLO



(di Jessica Torrens)
La coscienza cosmica non ha corpo ed è al di là del sesso e del
genere, tuttavia i ricercatori spirituali, vivendo nel nostro mondo
quotidiano, non lo sono. La maggior parte degli esseri umani è
incapace di immaginare un’entità priva di genere. Lo dimostrano
espressioni come ‘in Lui’ o ‘Dio Padre’.

In certe tradizioni buddiste e indù la forma femminile è ritenuta
inferiore al corpo maschile, il che impedirebbe alle donne di
raggiungere la liberazione finché non rinascono come uomini. I dogmi
maschilisti servono le istituzioni religiose dominate dagli uomini non
meno di quanto servano a escludere le donne e a impedire loro di
realizzare la pienezza del loro potenziale nella sfera secolare.

Alle donne viene detto che nella teologia non c’è posto per il
femminismo. Alcune ricercatrici spirituali considerano il femminismo
un movimento socialmente ostile e aggressivo, che contrasta con il
fine spirituale della pace interiore. Ma un atteggiamento femminista
non deve necessariamente essere stridente e accusatorio, o
imprigionarci nel ciclo dell’azione e reazione.

Dobbiamo semplicemente essere inflessibili e sagge nel riaffermare il
ruolo delle donne nella storia della ricerca spirituale. Come nella
sfera secolare, dove le donne non potevano pubblicare nulla sotto il
proprio nome e perciò la loro opera non è documentata, così
nell’ambito spirituale esse sono state viste più come oggetto di
desiderio da trascendere che come compagne sul cammino
dell’auto-realizzazione.

La biografia della monaca buddista Tenzin Palmo, La grotta nella neve,
di Vicki Mackenzie, fornisce una testimonianza delle interpretazioni e
adulterazioni delle scritture messe in atto per impedire alle monache
buddiste l’accesso agli insegnamenti esoterici. A onta di queste
umiliazioni, l’inglese Tenzin Palmo (che è stata la seconda donna
occidentale soltanto a essere ordinata monaca buddista) ha continuato
a cercare di comprendere le proprie radici tramite gli insegnamenti
buddisti.

Buddha aveva raccomandato agli aspiranti ricercatori spirituali di
visualizzare l’interno del corpo (sangue, viscere, pus ed escrementi)
per liberarsi da ogni attaccamento alla forma umana. Ma alcuni secoli
dopo, nel primo secolo AD, i testi buddisti riservavano ormai questa
grottesca visualizzazione esclusivamente al corpo femminile.

Questa interpretazione misogina, secondo Tenzin Palmo, fu
probabilmente conseguenza della polarizzazione fra uomini e donne
instaurata da monaci che vedevano nelle donne la fonte della
tentazione, e perciò il nemico. Buddha non ha mai affermato che le
donne siano qualcosa di sporco o che non possano raggiungere
l’illuminazione. Una conseguenza del portare la colpa del desiderio
degli uomini fu il fatto che alle monache fu negato l’accesso a
pratiche tantriche miranti all’illuminazione.

Peggio ancora, il loro senso di autostima venne demolito. “Una volta,”
scrive Tenzin Palmo, “feci visita a un monastero le cui monache erano
appena tornate da una cerimonia in cui avevano ricevuto degli
insegnamenti impartiti da un alto lama. Il lama aveva detto loro che
le donne sono impure e il loro corpo è inferiore. Erano così depresse.
La loro immagine di sé era sottoterra. Com’è possibile costruire una
pratica spirituale autentica, quando da ogni lato ti si dice che non
vali nulla?” La svalutazione del contributo delle donne alla vita e
alla comunità spirituale non è tipico soltanto della cultura buddista,
ma di tutte le società patriarcali.

- La dicotomia migliore/peggiore -

La discriminazione spirituale a danno delle donne era già in atto
molto prima del buddismo, in epoca vedica. Anche le donne
contribuirono alla stesura dei Veda, secondo il guru di Ananda Marga,
Anandamurti. Egli racconta che alle donne, così come ai membri delle
caste inferiori, non era permesso ripetere i mantra vedici, per
esempio il mantra aum. “Né era permesso loro, per quanto colte, di
ascoltare tali canti sacri; e si insegnava loro che, per quanto una
donna potesse essere spiritualmente avanzata, doveva comunque
rinascere come uomo per poter raggiungere la liberazione. Questo tipo
di propaganda fu diffusa a lungo da opportunisti.”

Le interpretazioni distorte persistono ancor oggi e anche in
Occidente. Le differenze vengono tradotte in una dicotomia
‘migliore/peggiore’ che nuoce all’insegnamento dello yoga. Questo
vale, per esempio, per la ghiandola paratiroidea, che è meno
sviluppata nelle donne (Singh 1998: 146). Ma, se la struttura
ghiandolare delle donne è diversa da quella degli uomini, devono
esserci delle pratiche yogiche specializzate per la yogini.
Specialmente in Occidente, dove buona parte degli studenti di yoga
sono donne, le differenze dovrebbero essere trattate in maniera
costruttiva e pratica.

Analogamente vi è una carenza di modelli per una pratica spirituale
specializzata al femminile. Lo yoga è una scienza sperimentale. La
conoscenza di questo sistema ci è stata tramandata dagli antichi
rishi, che osservarono gli effetti di vari cibi, posizioni e tecniche
di meditazione sul proprio corpo e sulla propria mente. Sarebbe
ragionevole che le aspiranti facessero riferimento alle scoperte di
yogini avanzate per comprendere la propria pratica e per esserne
guidate.

Ma dove sono queste yogini? Ancora una volta, la condizione secolare
delle donne ha effetti profondi sulla nostra vita spirituale. In molte
società le donne non erano libere di errare attraverso il paese,
dedicandosi alla ricerca spirituale: venivano invece praticamente
vendute in matrimonio. Anche le poche yogini che sono riuscite a
sfuggire a questa schiavitù, o che sono state aiutate dai mariti nella
loro pratica spirituale, non hanno lasciato resoconti della loro vita
facilmente accessibili come la Autobiografia di uno yogi di Yogananda
o come La mia vita con i maestri himalayani di Swami Rama.

Non sorprende che rituali pagani abbiano acquistato una crescente
popolarità a partire dagli anni Sessanta, in quanto celebrano la
natura misteriosa della forma e della sessualità femminile. Le donne
tornano a essere elevate al livello delle matriarche, il ciclo
mestruale torna a essere visto come un legame con i ritmi della natura
e dell’universo, una simbiosi con il ciclo della luna, e il ruolo
della donna torna a essere quello di donatrice della vita.

I riti della fecondità celebrano le donne come espressione della forza
vitale e perciò come esseri intensamente mistici e spirituali. Questa
dev’essere stata una vera rivelazione per le donne della passata
generazione, ancora sotto l’impatto della teoria freudiana, che le
considerava come ‘maschi isterici’ e che vedeva nell’utero la fonte
delle psicosi.

Non sorprende che molte donne si siano avvicinate a riti pagani di
ogni genere per affermare la propria sessualità e per sfuggire a
dottrine religiose maschiliste e a organizzazioni dominate dai maschi.
Ciò nonostante, per la yogini devota, il problema di trovare
insegnamenti e un modello di comportamento spirituale femminile
rimane.

Il cammino della yogini.jpgLa biografia di Tenzin Palmo narra la sua
personale inchiesta sulla condizione delle ricercatrici donne e il suo
tentativo di trasformare la faccia maschile del buddismo tibetano.
Tenzin Palmo intende fondare un monastero dedicato all’eccellenza
spirituale femminile: “un luogo che non solo educhi le donne al dogma
religioso, ma le trasformi in yogini, donne che hanno realizzato la
verità interiore.”

Quel monastero resusciterà le speciali pratiche inventate da
Rechungpa, una discepola di Milarepa, e messe in atto dalle yogini
Togdenma per aiutare le donne a raggiungere lo stato di Buddha. Queste
iniziative, insieme alla determinazione esplicitamente dichiarata da
Tenzin Palmo a raggiungere l’illuminazione in un corpo femminile, sono
di grandissimo beneficio nell’ispirare altre donne che intraprendono
il cammino spirituale.

Probabilmente molte altre donne si assoceranno a questi sforzi:
perché, quando si cominciano a formulare domande in precedenza
impronunciabili, altre domande sorgono spontaneamente. È un fatto
determinato socialmente o spiritualmente che le incarnazioni di Dio
siano sempre maschili? Forse quelle società non erano pronte ad
ascoltare la parola di Dio da una voce femminile.

Ma una tale voce sarebbe stata di immenso aiuto alla nostra causa e ci
avrebbe dato grande ispirazione e libertà dall’odio verso noi stesse.
È veramente il destino della donna quello di essere la biblica
‘aiutante’ dell’uomo? Non può la donna essere una personalità storica
e spirituale autonoma? Dobbiamo credere, come fanno molti
fondamentalisti cristiani, che la servitù della donna sia sanzionata
da Dio? Nel nostro yogico tentativo di bruciare l’ego e fonderci con
la realtà suprema, dov’è la via di mezzo fra un atteggiamento di
dominio e uno di inefficace auto-cancellazione?

Quando una ricercatrice spirituale accetta un guru maschio, può solo
trarre beneficio dalla sua guida se questi affronta i problemi delle
donne apertamente e direttamente, denunciando le falsità relative alla
presunta inferiorità femminile e le ingiustizie presenti nella vita
spirituale. Anandamurti afferma che uomini e donne hanno un’uguale
capacità di raggiungere la liberazione, la quale in senso ultimo non
dipende dal corpo fisico: “Poiché l’anima non ha sesso, è
ingiustificato discriminare fra il potenziale degli uomini e quello
delle donne nelle pratiche spirituali.

Tuttavia certi aspetti della pratica riguardano il corpo e la mente,
perciò è necessario prendere in considerazione le differenze
ghiandolari fra uomini e donne e i loro possibili effetti sulla
mente.” Da vero maestro spirituale, affronta l’erosione sociale
dell’autostima femminile prescrivendo, fra l’altro, una danza yogica,
detta Kaoshiki, che promuove la salute, la resistenza fisica e la
fiducia in sé delle donne - oltre a prendere posizione senza
compromessi contro tutti gli atteggiamenti e le pratiche che degradano
le donne. In questo modo un vero guru, donna o uomo che sia, può
efficacemente guidare gli aspiranti sul cammino spirituale verso un
punto che è al di là della consapevolezza dell’identità di genere.

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