DEFINIZIONE:
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All’epoca di Numa Pompilio vigeva un C. articolato su un anno
di 10 mesi lunari, disarmonico quindi rispetto al corso delle stagioni. Il
sovrano provvide allora a trasformarlo il sequenza lunisolare, in cui i mesi,
della durata alternata di 29 o 30 giorni, erano 12 negli anni comuni e 13 ogni
due anni. Il 13° mese poteva peraltro avere 22 o 23 giorni, alternatamente.
Questo C. si strutturava su un periodo di quattro anni, detto tetraeteride, di
365,25 giorni, e si armonizzava pienamente con i tempi solari. Una successiva
delibera dei decemviri di aumentarne la durata di un giorno per motivi
religiosi, venne però a creare squilibri di calcolo, tanto che nel 46 d.C. si
accumulò una differenza di 90 giorni rispetto al corso del sole. Da quell’anno
Giulio Cesare fece istituire un calendario solare, chiamato in suo onore
giuliano, in cui l’anno risultava composto di 365 giorni negli anni comuni e di
366 negli anni bisestili, destinati a prodursi ogni quattro anni. La durata
media dell’anno rimase dunque fissata in 365,25 giorni, sulla base di quanto
Cesare aveva appreso dagli Egizi sulla durata dell’anno tropico. Per quanto
riguarda la datazione, i giorni erano stabiliti in rapporto a tre date fisse:
Kalendae (1°), Nonae (5° o 7°), Idus (13° o 15°). Per gli anni invece, nel
Medioevo si iniziò a calcolare gli anni ab urbe condita (fondazione di Roma, 753
a.C.) oppure dal 28.8.284 d.C. (anno dioclezianeo o dei martiri). Nel 537 d.C.
una legge giustinianea introdusse l’anno di principato (imperatore o sovrano),
mentre l’anno di pontificato entrò nell’uso con Adriano I (781). Ma la più
importante e diffusa fu la datazione dell’era cristiana, denominata post Cristum
natum (nascita di Gesù), sistema tuttora in vigore ed adottato in tutto il
mondo.
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