DEFINIZIONE:
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Termine indicante lo spazio accessibile
all’osservazione terrestre, limitato solo dall’orizzonte. Nell’antichità si
credeva che fosse costituito da una volta solida in cui fossero incastonate le
stelle. Poiché però alcuni corpi celesti, i pianeti, su muovono rispetto alle
stelle considerate fisse, fu supposta l’esistenza di più C. trasparenti. Solo in
epoca copernicana il C. perse il suo significato metafisico per assumerne uno
più strettamente fisico. Lo studio scientifico del C. risale alla più remota
antichità, e prende il nome di astronomia. Y (Religione): L’osservazione del
C. favorisce da millenni la formazione di miti e credenze religiose. Esso
costituiva un mondo simile alla terra, con cui i primitivi lo consideravano
unito saldamente, mentre la separazione del C. dalla terra fu oggetto di
numerosi miti cosmogonici. Il binomio terra-C- appare in Nuova Zelanda,
nell’America settentrionale, in Africa ed in Egitto. Qui la dea del C., Nut
(v.), ed il dio della terra, Geb (v.), vengono separati dal dio dello spazio,
Shu (v.). Il concetto del C. e della terra come due mondi simili ma separati, è
il presupposto di miti in cui esseri divini scendono sulla terra dal C.
attraverso l’arcobaleno, visto come ponte o fune, oppure eroi divinizzati vi
salgono scalando un albero che giunge fino ad esso, o passando attraverso
l’orizzonte, confine tra i due mondi. Anche i popoli più antichi possedevano la
nozione di un essere inteso come creatore. In Australia veniva venerato Baiame,
che accoglieva in C., dove risiedeva, gli spiriti dei buoni e, attraverso la
pioggia, era considerato il creatore di quanto prodotto dalla terra. Esseri
celesti onniscienti e onniveggenti che si manifestano mediante fenomeni
meteorici, si riscontrano anche in Africa, Indonesia, America settentrionale,
Asia ed Europa. Anche se in tali esseri sono intervenuti aspetti diversi, come
quello solare, lunare o meteorico, essi hanno in comune la residenza in C. e
l’essere generatori di tutti i fenomeni (vento, tuono, fulmine, ecc.) che in
esso si producono. La loro onnipresenza ed onniscienza vengono applicate alla
condotta degli uomini, sui quali esplicano un’azione punitiva di carattere
etnico. Quindi in genere il dio principale delle religioni politeistiche è un
dio del C. Nelle religioni ariane la divinità primordiale è collegata al C.
sereno e luminoso (connessione attestata dal legame filologico che intercorre
fra le denominazioni delle varie divinità celesti, come l’indiano Dyaus, il
greco Zeus, l’italico Juppiter ed il germanico Tyr, tutte derivanti dalla comune
radice sanscrita div, luce o giorno), anche se talvolta oltrepassa i limiti di
una semplice teofania celeste, come accade nel dio sovrano dei testi vedici.,
Varuna (v.). Nelle culture indo-ariane la natura celeste degli dei supremi
subisce una svalutazione. Infatti in Zeus prevale la funzione di custode della
legge e dell’ordine, anche se il dio è fornito di attributi celesti quali la
folgore. Nell’Antico Testamento il divieto di pronunciare il nome di Dio portò
all’uso dell’espressione «regno dei C.» (malkuth shammaim), in forma equivalente
a «regno di Dio», espressione spesso usata dallo stesso Cristo (Matteo 13,
31-52). Nella religione cristiana il termine C. viene usato come sinonimo di Dio
(il detto volesse il C.) o come dimora di Dio e dei beati. Infine nella
religione cattolica il C. citato dalle Sacre Scritture rappresenta la
collocazione elevata e superiore propria di Dio, alla quale approdano
definitivamente i salvati. È in questo senso che i testi liturgici si rivolgono
a Dio che risiede nei C., oppure dichiarano la fede in una vita eterna nei C.,
accanto a Dio. Una dottrina presente nel sincretismo dantesco, e definita fin
dal 1336 da papa Benedetto XII per il quale la parola C. indica la vita eterna.
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