DEFINIZIONE:
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(dal latino Marcus Tullius Cicero), oratore e uomo
politico romano (106-43 a.C.), fu il più alto rappresentante della cultura
dell’ultima età repubblicana, nonché uno dei maggiori esponenti dell’intera
letteratura latina. Nato da famiglia equestre, C. cominciò i suoi studi a Roma,
alla scuola di Molone da Rodi. Nelle discipline giuridiche gli fu maestro Muzio
Scevola, ed in quelle filosofiche Filone. Dal 79 al 77 fu in Grecia e poi in
Oriente, dove frequentò le lezioni di Fedro e di Antioco d’Ascalona. Rientrato a
Roma, iniziò la carriera politica e quella di oratore, strettamente legata alla
prima. Nel 75 fu eletto questore in Sicilia, e cinque anni più tardi i siciliani
lo chiamarono a sostenere la loro causa contro l’ex governatore Claudio Verre,
colpevole di malversazioni. C. pronunciò solo la prima requisitoria (Actio I in
Verrem, preceduta dalla Divinatio in Q. Caeciliun): questo fu sufficiente a far
desistere dalla difesa il grande Ortensio, il patrono di Verre, che scelse
l’esilio volontario. Nel 69 C. fu edile curule, nel 66 pretore e, finalmente,
nel 63, console. Con il potere che gli veniva dalla carica, operò una dura
repressione contro i responsabili della congiura di Catilina (v.), e fu salutato
dal Senato come padre della patria. Ma le basi dell’oligarchia di cui C. s’era
fatto sostenitore cominciavano a vacillare, e nel 58 la reazione democratica si
manifestò con una legge del tribuno Clodio Pulcro, che condannava all’esilio chi
avesse emanato sentenze capitali senza il giudizio del popolo, come aveva
appunto fatto C. nei confronti dei seguaci di Catilina. L’oratore si trasferì in
Grecia, ma fu poi richiamato in patria, dove riprese l’attività politica
coprendo nel 51 la carica di governatore in Cilicia. Ritornò a Roma nel 50,
schierandosi dalla parte di Pompeo. Ma dopo la battaglia di Farsalo (48) si
ritirò a Brindisi a vita privata, ed anche allorché rientrò a Roma nel 47 dopo
aver ottenuto il perdono di Cesare, si dedicò esclusivamente ai suoi studi,
tributando a Cesare varie lodi attraverso le sue orazioni (Pro Marcello, Pro
Ligario, Pro rege deiotaro). Dopo l’assassinio di Cesare, ritornò sulla scena
politica contro Antonio, che attaccò duramente nelle 14 Filippiche e quando si
costituì il secondo triunvirato, fu colpito dalla vendetta di Antonio. Nel
dicembre del 43 a.C. fu ucciso dai sicari di Antonio presso la sua villa di
Formia. Gli esercizi poetici composti da C. sono andati quasi tutti perduti,
tranne Brutus, il Nilus, ed i più tardivi De consulato meo e De temporibus meis.
Furono tutti tentativi non certo felici. Eccezionale invece il valore delle sue
orazioni. Delle 58 pervenuteci, oltre a quelle già citate ricordiamo: tre
orazioni De lege agraria, di contenuto politico; le quattro Catilinarie (v.), il
capolavoro di C.; Pro Archia; De domo sua ad Pontifices, contro i Clodiani; Pro
Marco Caelio e In L. Carpundium Pisonem, interessanti per la storia del costume
dell’epoca; Pro Milone, l’uccisore di Clodio, ma il processo ebbe esito
infelice. Il pregio di queste orazioni consiste nel fatto che C. le considerò
opere letterarie, e non come mero strumento per vincere una causa. Sono quindi
capolavori di perfezione nello stile, nelle clausole metriche, nel perfetto
equilibrio fra lo stile ampolloso della retorica detta asiana e quello scarno e
severo della scuola attica, le due correnti che allora si contendevano la palma
dell’arte oratoria. C. impose uno stile personalizzato, una via di mezzo fra le
due tendenze, e questa sua continua ricerca della perfezione formale è
esemplificata anche nei trattati di retorica che scrisse: De inventione, De
oratore, il Brutus (una storia dell’eloquenza romana), l’Orator (sullo stile
oratorio), ed altri minori. C. scrisse anche opere filosofiche, quasi
esclusivamente in forma di dialogo: De republica (in sei libri, esaltazione
dello Stato romano); De legibus, sulla storia del diritto; Paradoxa Stoicorum;
De finibus honorum et maluorum, gli Academia sulla conoscenza; le Tusculanae
Disputationes in 5 libri, sulla morte ed il dolore; Cato maior sive de
senectute, in cui è introdotto Catone a parlare sulla vecchiaia; Laelius sive de
amicitia; De divinatione e De fato, sulle teorie degli stoici relative al
destino; De officiis in 3 libri dedicati al figlio marco, sull’utile, l’onesto
ed i rapporti tra essi. Tutte opere di straordinario valore, sia per il
carattere divulgativo con cui C. cercava di trasmettere ai Romani una vastissima
formazione culturale in un periodo in cui anche la tradizione greca si imponeva
con forza, sia per la perfezione della prosa, che raggiunge qui i vertici più
elevati. Infine ricordiamo l’Epistolario, composto di quattro gruppi di lettere,
Ad familiares (16 libri), Ad Atticum (16), Ad Quintum fratrem (3), Ad Brutum
(9): interessantissimo documento di vita e di costume, nonché della comune
parlata quotidiana, è il ritratto di un uomo e di un letterato la cui
personalità, pur con gli inevitabili difetti e debolezze, si impone come una
delle più significative di tutta la letteratura antica.
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