DEFINIZIONE:
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Atto bilaterale mediante il quale il pontefice ed il capo dello
Stato si accordano in generale sulla condizione giuridica della religione e
della Chiesa cattolica nel territorio dello Stato, oppure regola particolari
questioni religiose od ecclesiastiche. Talvolta gli obblighi vicendevoli di un
solo atto formano oggetto di due atti distinti; così il C. di Worms del 1122
risulta del "privilegium Calixtinum" e della "Praescriptio Henrici V". Vengono
annoverati anche fra i C. gli atti emanati dai pontefici in seguito ad accordi
con lo Stato, che dà successivamente il benestare agli atti stessi. Dal C., come
contratto non sorgono che diritti ed obbligazioni reciproci dello Stato
contraente e della santa Sede; non sorgono né diritti né obbligazioni per i
terzi, e quindi neppure per i soggetti allo Stato od alla Chiesa. Gli atti dello
Stato e della santa Sede possono consistere in atti di legislazione o di
amministrazione dei contraenti; particolare importanza rivestono gli atti
legislativi, cioè la trasformazione delle clausole concordatarie in diritto
oggettivo dello Stato ed in diritto territoriale della Chiesa. Per quanto
riguarda quest’ultima, la santa Sede non usa emanare un’apposita legge, ma si
limita a pubblicare negli Acta Apostolicae Sedis il testo del C. con il
protocollo dello scambio delle ratifiche, volendo con ciò implicitamente emanare
e pubblicare le norme di diritto canonico territoriale contenute nel C., che
essa ha assunto l’obbligo di statuire in deroga al diritto comune. Gli Stati
procedono secondo le norme del proprio diritto costituzionale, attenendosi
effettivamente alle stesse disposizioni che valgono per i trattati
internazionali. Non vi sono norme particolari sull’interpretazione e
l’esecuzione dei C. diverse da quelle comuni a tutti i contratti in generale. I
C. sfuggono alla competenza della corte permanente gi giustizia internazionale.
Ammessa la natura contrattuale del C., indubbiamente è illegale la denuncia
unilaterale, mentre invece l’inadempimento o la violazione del C. da una parte
possa dar luogo dall’altra parte alla dichiarazione di ritenersi sciolta dalle
obbligazioni assunte. Generalmente si ritiene che i C. diano sempre stipulati
con l’implicita pattuizione che essi si estinguano se vengono sostanzialmente a
mutare le condizioni di fatto esistenti al momento della conclusione; si ritiene
però anche che non si tratti di volontà presunta delle parti, ma dell’esistenza
di una norma generale relativa a tutti i contratti, secondo la quale il
mutamento sostanziale della situazione di fatto è causa di estinzione del
contratto, e quindi anche dei C. Certo sono gli Stati a rivendicare a sé il
diritto di dichiarare cessati gli effetti del c. se, per le mutate condizioni di
fatto, essa riesca di danno alla società civile. Sono da considerarsi famosi i
C.: il citato di Worms (1122), stipulato tra Callisto II e l’imperatore Enrico
V, con cui si pose fine alle lotte per l’investitura; di Bologna (1516) tra
Leone X e l’imperatore di Francia Francesco I, che fissava le modalità per la
concessione dei benefici e per la nomina dei vescovi; del 1801, tra Napoleone
Bonaparte e Pio VII, con cui si ristabiliva in Francia l’autorità del papa dopo
la Rivoluzione francese; i Patti lateranensi del 1929 con lo Stato italiano. Tra
gli altri, si ricordano quelli stipulati con Federico Barbarossa (1176),
Federico II (1212), il Regno delle due Sicilie (1818), la Russia (1847), la
Prussia (1848), la Spagna (1851), l’Austria (1885), la Francia (1906), la
Lettonia (1922), la Baviera (1925), la Polonia (1925), la Romania (19279, la
Lituania (19279, la Prussia (1929), il Baden (1932), l’Austria (1933) e la
Germania (1933). Papa Martino V resta famoso per aver stipulato C. con molti
Stati europei (1417-31), dopo il Grande Scisma d’Occidente.
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