DEFINIZIONE:
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Termine indicante la presenza della mente a sé stessa.
Filosoficamente si tratta del concetto che predomina in tutto il pensiero
moderno, da Cartesio fino a Husserl, dove il tema della conoscenza svolge un
ruolo fondamentale, ed entro questo tema la discussione riguarda principalmente
le nozioni di io e di autocoscienza. Il rapporto tra C. ed autocoscienza
caratterizza la filosofia moderna, nel senso in cui la presenza della mente a sé
stessa implica la possibilità di riferirsi ad un centro di attività individuale
come io o persona; la C. ha infatti un carattere riflesso in quanto C. di sé,
ciò che la oppone ad ogni atteggiamento naturalistico, immediato ed ingenuo. In
tal modo la C. è studiata filosoficamente come il distacco dalla presa diretta
ed irriflessa con il mondo, come ambito insieme della costituzione del soggetto
e dell’oggetto. In un altro senso peculiare, recentemente sottolineato
soprattutto dalla fenomenologia, la C. è sempre coscienza di qualche cosa, cioè
non si dà C. senza contenuto, e tra C. e contenuto si istituisce un rapporto
particolare definito intenzionalità, il quale indica il muoversi soggettivo
della C. verso i propri oggetti, senza alcuna presupposizione del carattere
degli stessi. I dati immediati della C. sono perciò i vissuti nel loro
complesso, o meglio la stessa C. è il flusso o la corrente dei vissuti. Nel
mondo greco il tema si presenta con il "gnose te ipsum" di Socrate, e con la
elaborazione che ne fa Platone, nel Carmide, nel Filebo e nel Teeteto, dove
emergono il carattere riflesso della C. ed il suo riferimento ad un’attività più
profonda rispetto alla sensibilità; con Plotino e l’indirizzo neoplatonico si
comincia a parlare di un’attività interiore, identificata con la C., capace di
un’esistenza autonoma e chiamata "vita", vita come presenza dell’anima a sé
stessa. Il concetto, proprio alla speculazione orientale, passa in Agostino, il
quale anticipa il tema della C. come certezza interna, definendo il "vivere"
come ricordo, intellezione, volontà, pensiero e giudizio, e la C. come garanzia
soprattutto morale. In seguito tutto il pensiero cristiano medievale svolge
questo concetto di C. morale quale testimonianza interiore del bene e del male.
Oltre a Cartesio, che fornisce il massimo sviluppo filosofico agli spunti
agostiniani, nel XVI secolo ha un rilievo autonomo la riflessione di Campanella,
che nella sua Metaphysica insiste sulla dottrina dell’autocoscienza come punto
di partenza per la costruzione della scienza del reale: la conoscenza di sé è
innata, originaria, mentre la conoscenza delle cose esterne è aggiunta o addita,
per cui la prima è in grado, se disoccultata, di fondare la seconda. In Cartesio
la C. originaria è il cogito, l’io penso, principio di evidenza e di ogni
verità, quindi principio costitutivo della scienza rigorosa: per giungere
all’evidenza del cogito occorre comunque percorrere il cammino del dubbio
metodologico, che si richiama allo scetticismo e che Agostino aveva anticipato,
cioè liberarsi attraverso il dubbio di tutte le false conoscenze, o meglio di
tutte quelle conoscenze che non sono in grado di giustificare e fondare sé
stesse. Il cammino della riduzione procede dall’esterno all’interno, e si
arresta dinanzi alla trasparenza della C. nell’atto del pensare, e quindi dello
stesso dubitare. La verifica viene da un atto intuitivo che ciascuno è in grado
di ripetere: la C. è dunque immediata, intuitiva, non ulteriormente riducibile,
evidente, e come tale è il principio di verità da cui è possibile dedurre ogni
altra verità, dall’esistenza stessa dell’io (cogito ergo sum) ai criteri di
chiarezza e distinzione sui quali si costruisce la scienza universale. Cartesio
opera poi il passaggio dalla C. alla validità del mondo esterno attraverso
l’idea di Dio, che diviene così l’effettiva garanzia della costruzione
scientifica. Attraverso l’evidenza, confermata dal fatto che Dio in quanto
perfetto non si può ingannare, è possibile intuire le verità matematiche e
fisiche, come conoscenze innate alla mente (razionalimo), ed avere la certezza
del mondo esterno (res extensa). Cartesio giunge così ad una concezione
sostanzialistica ed innatistiva della C., la quale viene radicalmente criticata
nel secolo successivo da tutta la corrente empiristica. Hume in particolare nega
l’io personale, e con esso ogni vita interiore autonoma del soggetto,
opponendosi fermamente al razionalismo della C. come principio di verità. Di
conseguenza l’empirisno inglese riduce la C. ad un teatro in cui vengono a
disporsi le impressioni del mondo esterno, ed in cui si formano, attraverso
legami accidentali governati dall’abitudine, le idee a posteriori. Il tema
cartesiano è ripreso vigorosamente da Kant, che lo risolve in senso
trascendentale: in particolare Kant tenta di trasformare il sostanzialismo
razionalistico in una teoria dell’esperienza che sia a posteriori, per il fatto
che i fenomeni sono un materiale irrinunciabile per la conoscenza, e nello
stesso tempo a priori per il fatto che il materiale fenomenico può essere
conosciuto solo entro certe condizioni (forme trascendentali e categorie) poste
dal soggetto stesso. Criticando l’innatismo, Kant porta a conclusione il
progetto di una scienza universale fondata soggettivamente. In seguito
l’idealismo vede nella C. e nell’autocoscienza dei semplici gradi della
fenomenologia dello spirito, mentre il positivismo considera la filosofia della
c. entro l’ambito della metafisica, ambito di cui il sapere scientifico deve
liberarsi. Nel novecento troviamo invece due posizioni che forniscono sviluppi
originali al tema della C., l’intuizionismo di Bergson e la fenomenologia di
Husserl. Il primo torna ai dati immediati della C. ed all’intuizione come forma
più perfetta di conoscenza, contro lo psicologismo positivistico degli stati
coscienziali: la vita della C. si costituisce come temporalità (durata) e non è
riducibile entro schemi spazializzati o comunque solidificati; come tale essa
non è traducibile in idee od in una scienza positiva della C. l’esito
husserliano è in certo senso opposto a quello di Bergson, nella misura in cui
Husserl cerca di costituire una scienza rigorosa fondata sul cogito, e quindi
recupera per intero le indicazioni di Cartesio: il metodo fenomenologico
dell’epochè (epoch) ripercorre il cammini cartesiano del dubbio, badando però di
non incorrere nelle assunzioni sostanzialistiche cui quelle si era esposto.
Husserl non pone perciò il cogito né come sostanza né come esistenza, ma come
semplice polo internazionale, attività donatrice di senso; trascendentale non è
in tal modo l’ambito dell’a priori, come in Kant, ma il terreno di fondazione
che si dispiega di fronte al soggetto allorché si sia liberato di tutte le
incrostazioni naturalistiche, un terreno che Husserl definisce Lebenswelt (mondo
della vita), ed il cui carattere si apre alla intersoggettività. Collegata tanto
alla tradizione cartesiana quanto all’analisi fenomenologica, è la posizione
esistenzialistica di Sartre: egli vede la C. contrapposta all’essere, cioè come
attività nullificante ed irrealizzante, fonte di progetto e di libertà. Ma
insieme condanna dell’uomo a restare prigioniero in una continua ricerca del
positivo. L’attuale atteggiamento della scienza evidenzia ancora grosse
perplessità sull’argomento. Il filosofo Colin McGinn sostiene che il problema
resta insolubile, perché l’essere umano è fatto in modo da non poter capire come
gli stati di C. dipendano dagli stati cerebrali. Daniel Dennett afferma invece
che C. è solo il nome che la gente ignorante dà ad un tipo di interazioni
elettriche e chimiche che spiegano bene come lavori il cervello, e fanno quindi
svaporare la questione principale del perché lavori. Significativa la
dichiarazione rilasciata da Patrick Wilken, presidente australiano
dell’Association for Scientific Study od Consciousness, al termine di un lungo
dibattito in una conferenza sulla C. tenutasi a Tucson, presso l’università
dell’Arizona: "Cosa stiamo cercando di fare qui se non di creare un’anima?
Chiaramente non siamo né pura astrazione né pura macchina. Ma è evidente che
siamo entrambe le cose, o perlomeno che l’uomo sia un animale che si comporta
come se lo fossimo".
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