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SEZIONE: « DIZIONARIO ESOTERICO »

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DIZIONARIO ESOTERICO SCHEDA N. «00592»

TERMINE: DANTE ALIGHIERI
DEFINIZIONE:

Poeta fiorentino (1265-1321), autore della trilogia della Commedia, comprendente l’Inferno, il Purgatorio ed il Paradiso, un’opera universalmente ammirata come capolavoro della poesia e della fede. D. non fu però solo un genio della lingua e della poesia , in quanto fu anche e soprattutto un iniziato, nel senso più elevato del termine, un vero messaggero del soffio divino, ed il suo linguaggio merita d’essere proposto come la rivelazione della saggezza. Egli intendeva illustrare nelle sue opere, comprendenti anche la Vita Nova ed il Canzoniere, una parte della propria vita e dei pensieri elevati che l’assillavano. Il simbolismo ne fu il mezzo d’espressione, poiché in questo modo non si sarebbe rivelato apertamente agli occhi della Chiesa. Scelse per ispiratrice la bella Beatrice Cenci, così come Petrarca scelse Laura, immagini viventi della donna ideale, l’Iside eterna che si svela soltanto agli uomini "perfetti". L’influenza delle dottrine eretiche e, singolarmente, del catarismo, come in genere del johannismo, è notevole in tutta la sua opera. Allo stesso modo il poeta fiorentino, che si pone sotto il segno della rosa, appare quale un adepto della Cavalleria Templare. Infine D. figura sotto il patrocinio dell’Arte Reale, nel suo aspetto più elevato, quello dell’Alchimia spirituale. Un’opera di F. Aroux del 1854, Dante hérétique, révolutionnaire et socialiste, dal sottotitolo significativo: "Chiave della commedia anticattolica di D., pastore della Chiesa Albigese della città di Firenze, affiliato all’Ordine del Tempio, che dà la spiegazione del linguaggio simbolico dei Fedeli d’Amore nelle composizioni liriche, nei racconti e nelle epopee cavalleresche dei trovatori", fece ai suoi tempi l’effetto del sasso nello stagno. Un’ipotesi che appare oggi più che verosimile, considerando le trasparenti allusioni alle dottrine eretiche di cui sono sature le sue opere. Un passaggio del Purgatorio della sua Divina Commedia (Canto XXVII, 16-22) ricorda, in modo ingannevole, il martirio degli Albigesi come quello dei Templari: "In su le man commesse mi protesi, Guardando il foco e imaginando forte, Umani corpi già veduti accesi. Volsersi verso me le buone scorte, e Virgilio mi disse: "Figliol mio, Qui può esser tormento me non morte. Ricordati! Ricordati!" (…)". Occorre ricordare che la vita di D. si è svolta da poco dopo l’eliminazione degli ultimi catari ed il martirio di Montségur (1244, v.) e durante quello Templare (1307-1314), e che a Firenze i patarini erano numerosi. Per cui certo aveva potuto raccogliere testimonianze dirette sia della crociata che della persecuzione ordite contro di loro. Si capisce allora meglio il senso di quell’allusione vendicatrice. L’impiego simbolico di termini quali albero secco ed albero verde è altrettanto significativo, alludendo rispettivamente alla Chiesa di Pietro ed a quella di Giovanni. Il fatto che D. sia stato un guelfo bianco, ossia un moderato, nulla toglie alla tesi espressa, poiché egli venne perseguitato dai guelfi per il suo scarso entusiasmo, trovando rifugio presso gli amici ghibellini. In realtà D., benché seguace dell’Impero, non si era affatto compromesso con nessun partito. Il suo spirito libero volle, tra il Papa e l’Imperatore, stimati entrambi indegni, stabilire un terzo potere, quello della Cavalleria, nel suo aspetto spirituale. Nel libro La Chevalerie et les apects secrets de l’Histoire (1966) di André Gauthier-Walter, si sostiene che "D. il dottrinario ed il profeta della Cavalleria ghibellina e dell’Impero della fenice, resta per l’eternità quel volontario proscritto, fuori dal mondo e nel mondo, più illustre per la sua feconda sofferenza che il generale vittorioso di una vittoria effimera. D. garantisce la guardia dei luoghi Santi di quella futura cittadella che è la Gerusalemme celeste, con una cavalleria trascorsa, presente e soprattutto futura". Sotto questo aspetto D. fu un coraggioso ed un vero Templare. La sua appartenenza ai Fedeli d’Amore ed alla Santa Fede, terz’ordine templare, ne danno la prova. Nel museo di Vienna è conservata una curiosa pietra antica, una specie di medaglia medievale, raffigurante D. e, sul rovescio, le lettere "F.S.K.I.P.F.T.", tradotte "Fidei Sanctae Kadosh, Imperialis Principatus, Frater Templarius", ovvero "Kadosh della Santa Fede, del Principato Imperiale, Fratello del Tempio". Kadosh in ebraico significa santo o consacrato, e corrisponde al 30° Grado del R.S.A.A. (v.). Infine D. nel Paradiso scelse a sua guida simbolica proprio San Bernardo di Chiaravalle (v.), temuto fustigatore di papi e redattore della regola templare. Il terzo significato dell’opera dantesca, quello più segreto, può essere letto solo attraverso l’esoterismo rosacrociano, la cui suprema conclusione è l’Alchimia spirituale. L’analisi dell’albero genealogico del poeta rivela che egli fu un Rosa+Croce ante litteram, ragione d’una nobile filiazione iniziatica. Una tavola araldica lombarda, corrispondente al patronimico del trisavolo di D., reca le figure della rosa e del pellicano, poi per il quartiere Alighieri quello della croce e dell’agnello. Si tratta di simboli indubbiamente rosacrociani. Eliphas Levi analizza chiaramente il suo aspetto rosacrociano allorché sostiene che il Romanzo della Rosa e la Divina Commedia non sono che le opposte forme di una medesima opera: l’iniziazione all’indipendenza dello spirito, la satira di tutte le istituzioni contemporanee e la formula allegorica dei grandi segreti della Confraternita dei Rosa+Croce. Il Levi, nella sua Storia della Magia, ribadisce che "La rosa di Flamel (v.), quella di Jean de Meung e quella di Dante, sono tutte nate nello stesso roseto". Tale roseto essenziale non può che essere l’albero dell’Alchimia. Il frequentissimo impiego dei numeri e la scelta di Virgilio quale guida nell’Inferno e nel Purgatorio, si ricollegano al simbolismo pitagorico. Infatti l’aritmetica appartiene alla scala mistica della divina Commedia, rappresentata dalle sfere del paradiso. Le allusioni dantesche al Sole, alla Luna ed alle stelle, così come il numero dei canti e soprattutto la divisione tripartita in Inferno, Purgatorio e Paradiso, rappresentano le tre fasi della Grande Opera, nera, bianca e rossa. D. pare indicare la via all’iniziazione allorché nel Canzoniere evoca quel Campus stellae (Compostela): "E la stella d’amor ci sta rimota per lo raggio lucente …". Dal Composto alchemico nasce la Stella mattutina, o perla, che viene ad elaborarsi nella conchiglia di San Giacomo, uscendo dalle acque primordiali (v. La nascita di Venere, del Botticelli). Soltanto allora potrà essere ottenuta la Pietra Filosofale, o cubo di saggezza eterna. "O voi, che avete gl’intelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto il velame delli versi strani!" (Inferno, IX, 61-63).

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