DEFINIZIONE:
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Poeta fiorentino (1265-1321), autore della trilogia della
Commedia, comprendente l’Inferno, il Purgatorio ed il Paradiso, un’opera
universalmente ammirata come capolavoro della poesia e della fede. D. non fu
però solo un genio della lingua e della poesia , in quanto fu anche e
soprattutto un iniziato, nel senso più elevato del termine, un vero messaggero
del soffio divino, ed il suo linguaggio merita d’essere proposto come la
rivelazione della saggezza. Egli intendeva illustrare nelle sue opere,
comprendenti anche la Vita Nova ed il Canzoniere, una parte della propria vita e
dei pensieri elevati che l’assillavano. Il simbolismo ne fu il mezzo
d’espressione, poiché in questo modo non si sarebbe rivelato apertamente agli
occhi della Chiesa. Scelse per ispiratrice la bella Beatrice Cenci, così come
Petrarca scelse Laura, immagini viventi della donna ideale, l’Iside eterna che
si svela soltanto agli uomini "perfetti". L’influenza delle dottrine eretiche e,
singolarmente, del catarismo, come in genere del johannismo, è notevole in tutta
la sua opera. Allo stesso modo il poeta fiorentino, che si pone sotto il segno
della rosa, appare quale un adepto della Cavalleria Templare. Infine D. figura
sotto il patrocinio dell’Arte Reale, nel suo aspetto più elevato, quello
dell’Alchimia spirituale. Un’opera di F. Aroux del 1854, Dante hérétique,
révolutionnaire et socialiste, dal sottotitolo significativo: "Chiave della
commedia anticattolica di D., pastore della Chiesa Albigese della città di
Firenze, affiliato all’Ordine del Tempio, che dà la spiegazione del linguaggio
simbolico dei Fedeli d’Amore nelle composizioni liriche, nei racconti e nelle
epopee cavalleresche dei trovatori", fece ai suoi tempi l’effetto del sasso
nello stagno. Un’ipotesi che appare oggi più che verosimile, considerando le
trasparenti allusioni alle dottrine eretiche di cui sono sature le sue opere. Un
passaggio del Purgatorio della sua Divina Commedia (Canto XXVII, 16-22) ricorda,
in modo ingannevole, il martirio degli Albigesi come quello dei Templari: "In su
le man commesse mi protesi, Guardando il foco e imaginando forte, Umani corpi
già veduti accesi. Volsersi verso me le buone scorte, e Virgilio mi disse:
"Figliol mio, Qui può esser tormento me non morte. Ricordati! Ricordati!" (…)".
Occorre ricordare che la vita di D. si è svolta da poco dopo l’eliminazione
degli ultimi catari ed il martirio di Montségur (1244, v.) e durante quello
Templare (1307-1314), e che a Firenze i patarini erano numerosi. Per cui certo
aveva potuto raccogliere testimonianze dirette sia della crociata che della
persecuzione ordite contro di loro. Si capisce allora meglio il senso di
quell’allusione vendicatrice. L’impiego simbolico di termini quali albero secco
ed albero verde è altrettanto significativo, alludendo rispettivamente alla
Chiesa di Pietro ed a quella di Giovanni. Il fatto che D. sia stato un guelfo
bianco, ossia un moderato, nulla toglie alla tesi espressa, poiché egli venne
perseguitato dai guelfi per il suo scarso entusiasmo, trovando rifugio presso
gli amici ghibellini. In realtà D., benché seguace dell’Impero, non si era
affatto compromesso con nessun partito. Il suo spirito libero volle, tra il Papa
e l’Imperatore, stimati entrambi indegni, stabilire un terzo potere, quello
della Cavalleria, nel suo aspetto spirituale. Nel libro La Chevalerie et les
apects secrets de l’Histoire (1966) di André Gauthier-Walter, si sostiene che
"D. il dottrinario ed il profeta della Cavalleria ghibellina e dell’Impero della
fenice, resta per l’eternità quel volontario proscritto, fuori dal mondo e nel
mondo, più illustre per la sua feconda sofferenza che il generale vittorioso di
una vittoria effimera. D. garantisce la guardia dei luoghi Santi di quella
futura cittadella che è la Gerusalemme celeste, con una cavalleria trascorsa,
presente e soprattutto futura". Sotto questo aspetto D. fu un coraggioso ed un
vero Templare. La sua appartenenza ai Fedeli d’Amore ed alla Santa Fede,
terz’ordine templare, ne danno la prova. Nel museo di Vienna è conservata una
curiosa pietra antica, una specie di medaglia medievale, raffigurante D. e, sul
rovescio, le lettere "F.S.K.I.P.F.T.", tradotte "Fidei Sanctae Kadosh,
Imperialis Principatus, Frater Templarius", ovvero "Kadosh della Santa Fede, del
Principato Imperiale, Fratello del Tempio". Kadosh in ebraico significa santo o
consacrato, e corrisponde al 30° Grado del R.S.A.A. (v.). Infine D. nel Paradiso
scelse a sua guida simbolica proprio San Bernardo di Chiaravalle (v.), temuto
fustigatore di papi e redattore della regola templare. Il terzo significato
dell’opera dantesca, quello più segreto, può essere letto solo attraverso
l’esoterismo rosacrociano, la cui suprema conclusione è l’Alchimia spirituale.
L’analisi dell’albero genealogico del poeta rivela che egli fu un Rosa+Croce
ante litteram, ragione d’una nobile filiazione iniziatica. Una tavola araldica
lombarda, corrispondente al patronimico del trisavolo di D., reca le figure
della rosa e del pellicano, poi per il quartiere Alighieri quello della croce e
dell’agnello. Si tratta di simboli indubbiamente rosacrociani. Eliphas Levi
analizza chiaramente il suo aspetto rosacrociano allorché sostiene che il
Romanzo della Rosa e la Divina Commedia non sono che le opposte forme di una
medesima opera: l’iniziazione all’indipendenza dello spirito, la satira di tutte
le istituzioni contemporanee e la formula allegorica dei grandi segreti della
Confraternita dei Rosa+Croce. Il Levi, nella sua Storia della Magia, ribadisce
che "La rosa di Flamel (v.), quella di Jean de Meung e quella di Dante, sono
tutte nate nello stesso roseto". Tale roseto essenziale non può che essere
l’albero dell’Alchimia. Il frequentissimo impiego dei numeri e la scelta di
Virgilio quale guida nell’Inferno e nel Purgatorio, si ricollegano al simbolismo
pitagorico. Infatti l’aritmetica appartiene alla scala mistica della divina
Commedia, rappresentata dalle sfere del paradiso. Le allusioni dantesche al
Sole, alla Luna ed alle stelle, così come il numero dei canti e soprattutto la
divisione tripartita in Inferno, Purgatorio e Paradiso, rappresentano le tre
fasi della Grande Opera, nera, bianca e rossa. D. pare indicare la via
all’iniziazione allorché nel Canzoniere evoca quel Campus stellae (Compostela):
"E la stella d’amor ci sta rimota per lo raggio lucente …". Dal Composto
alchemico nasce la Stella mattutina, o perla, che viene ad elaborarsi nella
conchiglia di San Giacomo, uscendo dalle acque primordiali (v. La nascita di
Venere, del Botticelli). Soltanto allora potrà essere ottenuta la Pietra
Filosofale, o cubo di saggezza eterna. "O voi, che avete gl’intelletti sani,
mirate la dottrina che s’asconde sotto il velame delli versi strani!" (Inferno,
IX, 61-63).
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