DEFINIZIONE:
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Dottrina professata dai seguaci del cristianesimo
primitivo, in particolare nell’ambito della comunità di Gerusalemme. I
giudeo-cristiani praticavano un cristianesimo ancora rinchiuso nelle strettoie
rituali e psicologiche del mosaismo; secondo la loro dottrina, non solo gli
Ebrei ma anche i Gentili (v.), per entrare nella comunità cristiana dovevano
essere circoncisi. Le teorie giudeo-cristiane, dopo essere state oggetto di
discussioni e di controversie all’interno del cristianesimo primitivo (delle
quali è traccia nelle epistole paoline ai Galati ed ai Romani, in quella di
Giacomo e negli Atti degli Apostoli), vennero condannate nel concilio di
Gerusalemme (50 d.C.; Atti degli Apostoli 15, 1-29). Dopo la rivolta del 66, i
giudeo-cristiani, che non avevano accettato di rientrare nell’ortodossia, si
ritirarono in parte a Pella nella Decapoli ed in parte nella Basanitide ed a
Berea (Aleppo). Si riunirono poi verso il 70, per vivere tutti in isolamento
materiale e spirituale. Si diedero anche un proprio vangelo, noto come Secundum
Hebraeos. Principali derivazioni del G. furono i Nazarei e gli Ebioniti (v.).
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