DEFINIZIONE:
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Stato o struttura di un essere in quanto perfetto. Si suole
distinguere la P. in senso metafisico ed in senso etico-ascetico. La P.
metafisica è la pienezza posseduta da un ente secondo il proprio concetto. Gli
scolastici distinguevano gerarchicamente la P. assoluta che spetta all'ente
assoluto o Dio, da quella relativa, che spetta agli enti creati e dipendenti
dall'ente assoluto. Dal punto di vista etico-ascetico si sottolinea l'aspetto
finalistico della P.: perfetto è l'uomo che è compiuto nell'operare che agisce
sempre conformemente alla virtù, senza carenze o difetti. Ciò suppone la P.
naturale, cioè il pieno ed armonico sviluppo di tutte le facoltà cooperanti
nella vita etica. Y (Massoneria) Riconosce la P. nella sola figura del G.A.D.U.,
al quale proprio per tale ragione dedica i suoi Lavori. Il Massone non aspira
alla P., sapendola irrangiungibile per l'essere umano, anche se Iniziato. Tende
però a migliorare la propria condizione, le conoscenze e l'etica
comportamentale, considerandosi quindi perfettibile. Vede bene la cima della
montagna, ne conosce anfratti e percorsi che, lungo le scoscese sue pendici,
tendono verso la vetta, e fa del suo meglio per ascendervi. Sa però che alla
cima non potrà mai arrivare: il microcosmo è di identica natura al macrocosmo,
ma restano due identità di ben diversa rilevanza nel quadro universale. All'Uomo
compete comunque il dovere d'operare caparbiamente su sé stesso, per avvicinarsi
il più possibile alla P. divina, per quindi esserne miglior rappresentante nel
complesso mondo del Creato che è chiamato a gestire. Y (Guido da Todi, studioso
di filosofie orientali, Esonet) Malgrado l’apparente controsenso, uno dei
maggiori ostacoli che impediscono allo spiritualista un suo scorrevole percorso
lungo la strada della maturazione individuale è la sua attenzione spiccata verso
la P. dei rapporti, del pensiero e dell’azione. Egli si dibatte, sovente, in un
mondo soggettivo nel quale la sua realtà individuale è percepita come
prevalentemente in ombra, di fronte alle altre tutte, che fanno parte del suo
mondo quotidiano. La lotta silente ed istintiva avviene tra un suo atteggiamento
di sottile indecisione ad intraprendere il deciso sforzo in direzione della
liberazione cosmica e quella spinta indiscutibile a liberarsi, invece, da
strutture formali che non è più in grado di accettare. Resta il fatto che,
comunque, egli, per le suddette ragioni, stenta a scollarsi da certi complessi
di rifiuto ad una serena affermazione del proprio carattere e del proprio
impegno; vede gli altri come sempre migliori di lui; sospetta che il Sentiero
dello Spiritualismo pretenda da ogni pellegrino della terra delle azioni
assolute ed eroiche, delle rinunce totalitarie, un’ascesi fredda e spiccata. Di
conseguenza, qualunque suo slancio di miglioramento continua ad essere visto
come impreciso, oscuro, non sufficiente e debole. Il desiderio di P. sovrasta e
blocca una serena visione delle cose. Val la pena di raccontare una breve
parabola di Yogananda Paramahansa, che collima parzialmente, nella prima parte,
con i significati di quanto andiamo dicendo; tuttavia, nella sua seconda parte
non risulta affatto inutile alla lettura: "Venne il tempo fatidico della morte
per una vecchia donna, che il mondo aveva conosciuto come dura e cattiva con
tutti. Dopo aver esalato l’ultimo respiro, ella si trovò logicamente
nell’inferno. Un luogo oscuro, angoscioso, freddo e pieno di gemiti invisibili.
La paura le entrò sin dentro le più profonde pieghe dell’anima. "Dio mio", pregò
terrorizzata, "Aiutami Tu! Toglimi da questo luogo orribile!" Non appena ebbe
pronunciato tali parole, una stilla luminosa, alta nel cielo oscuro ed immoto,
apparve e prese a brillare debolmente, rischiarando con la sua luce l’intero
panorama ringhiante e nero dell’inferno. Poi, lentamente, si allungò; divenne un
sottile filo radioso, che si stese, sino a pendere ed oscillare sopra il capo
della vecchia donna. Una voce tenera e dolce, che proveniva dall’ovunque, disse,
allora: "Osserva il potere dell’amore e della sincerità. Nella tua vita hai
compiuto solo una buona azione. Ma, era pervasa di vera purezza e di altruismo.
Ora, questo evento ti dà un’insperata chiave di salvezza. Aggrappati ad esso;
afferrane la fune radiosa, ed issati fino al Cielo". Mentre la misteriosa parola
risuonava per ogni dove, ecco che, nello stesso momento, dalla nebbia martoriata
dell’inferno iniziarono ad apparire, come dal nulla, dei piccoli gruppi di
dannati. Anch’essi volevano uscire dall’eterna sventura. Ed approfittavano del
messaggio, per utilizzare la via di una libertà mai sognata. La vecchia donna
aveva già afferrato, intanto, con disperazione la fune luminosa, e si era issata
per buona parte del suo ossuto e curvo corpo. Ma, non appena vide protendersi
verso di lei quelle mani affamate e quei volti pieni di dolore e di lagrime,
iniziò a scalciare e ad allontanare con decisione e protervia l’umanità
castigata che aveva sotto di sé. La corda, già di per sé sottile e delicata, non
resse all’oscillazione rabbiosa, e si spezzò". Noi vorremmo evidenziare solo il
miracolo della fune luminosa. É profondamente vero, occulto, comprovato in mille
e mille indicazioni della letteratura metafisica che ogni pulsione sincera, ogni
sentimento di fede, ogni sforzo soggettivo, sentito sino in fondo all’anima, per
quanto debole possa apparire ad un esame sommario ed esteriore, stabilizza delle
incredibili radici di potere nel destino più celato di ognuno di noi. E non
manca di dare un risultato liberatorio e risolutore proprio in quei momenti,
magari, nei quali non è più presente in noi, come ricordo di un’azione qualunque
fatta nel passato. Non è nell’intensità dello sforzo che risiede la qualità di
un’azione; bensì nella sua ampiezza universale. Se accettiamo il fatto
incontrovertibile in natura che l’infinito evolversi delle cose, negli attuali
mondi di esistenza e nei futuri, incredibili stati metafisici che attendono
l’uomo, non abbia un termine; e che ogni ciclo sia la preparazione ad un
successivo, nella spirale cosmica che non ha mai fine, ebbene il termine di P.,
di un qualcosa che possa far esclamare: "Attimo, fermati! Sei la conclusione di
tutto!" diverrà poco degno di una mente che percepisce la propria essenza
primordiale. Esiste una rivelazione molto più vasta di quanto si possa supporre
nei codici morali dei Veda, quando essi indicano soltanto nel dharma di ognuno
di noi la meta assoluta e sempre rinnovata dell’esistenza. Ogni azione, dalle
minori alle più eroiche, se perseguita nell’Amore e nell’armonia più completa, è
un infinito ed incondizionato frammento di una P. in atto, che, nella successiva
replica di sé stessa, già incarna un diverso obiettivo esistenziale. Vivere il
momento presente come indicatore dell’unica possibilità che ha l’assoluto di
manifestarsi nel tempo e nello spazio, significa essere l’assoluto. Vivere la
nostra vita, con gioia e serenità, sentendola incasellata nel ritmo universale
della vita, è compiere il più grande atto di devozione alle Sante Scritture di
ogni tempo. É qui, in questo preciso attimo, che cessa il desiderio, come
insegnò Gothama il Buddha (v.), ed inizia la realizzazione dell’infinito.
Quindi, l’individuo che si dibatte nei suoi pensieri di inutilità, di ricerca di
una P. isolata dal contesto della perfetta letizia quotidiana; che non vuole
convincersi sull’illusione di un fatidico momento privilegiato, in cui tutti i
lembi del cielo lo cingeranno finalmente nell’abbraccio finale, ebbene costui è
lungi dal comprendere che ogni scaglia del Sacro Pesce è il Pesce stesso.
Piuttosto che passare ore ed ore curvi nello studio delle più difficili
letterature metafisiche, oppure nell’angosciante mea culpa, quotidiano e
subconscio, della propria pochezza spirituale, alla ricerca di una P. definitiva
che non verrà mai, soffermiamoci a carezzare il volto dei nostri bambini: nei
loro occhi e nel loro sorriso v’è tanto di quel Dio che non basterà la somma di
tutte le eternità a farcelo assimilare.
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